Verso l'interiorità.
Adorare e contemplare.
"La notte calma, la musica silenziosa, la solitudine sonora, la cena che ricrea e innamora" S. Giov. della Croce.
"Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me". Apocalisse 3,20.
 
In un mezzogiorno ardente, Gesù, coperto di polvere, attraversava la provincia di Samaria lungo la gola che si apre tra i monti Ebal e Garizin. Vicino a Naplusa sorgeva la città di Sicar con all'inizio della città, un pozzo. E si svolse una strana scena. Con una brocca sulla testa arrivò dalla città una donna che aveva al suo attivo strane storie di uomini: alla richiesta di Gesù di bere... e la risposta stranita della donna emerge il termine: "adorare". Giov. 4,19-24: leggere!! Una poesia orientale racconta: "Disse al mandorlo: fratello, parlami di Dio. E il mandorlo fiorì".
Ciò che viene così ben detto… per noi è difficile arrivare al volto di Dio.... È sempre nella foschia, è infinitamente "Altro". La creazione fantastica, le riflessioni comunitarie, le varie esperienze possono renderci presente il Signore, ma sempre in maniera riflessa e velata. La fonte rimane lontana... È possibile appagarci ad acque fresche del torrente, ma l'origine è lassù, lontano, invisibile! Ma noi sentiamo la necessità della sorgente: "come la cerva anela ai corsi d'acqua così anelo a te". E allora Dio si fa presente ma come il sole che penetra in una fitta boscaglia. È il continuo canto-preghiera che emerge dalla Bibbia: "mostrami il Tuo volto". Per significare la sua presenza! Con la fede e l'amore si arriva, a poco a poco, a percepire la sua presenza. "Sono nell'oscurità, nella prova ma so che c'è, è qui!". Si arriva a una tale coscienza della Sua presenza in tutti i momenti in noi; non possiamo pensare diversamente. La recitazione di alcuni salmi, soprattutto del salmo: "Tu Signore mi scruti e mi conosci...". Verso questa interiorità, verso questa amicizia e relazione noi dobbiamo incamminarci. La nostra anima deve prendere coscienza di Dio e avvicinarsi progressivamente a Lui con l'amore. Deve trasformarsi con e nell'amore. Gesù dice: se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo... dimora presso lui". Quanto più si ama tanto più l'anima viene a galla, si mette al centro dell'anima Dio e tanto più Dio si svelerà all'anima. L'anima sperimenta così la presenza attiva e trasformante di Dio.
 
I° Realizzare l'Incontro: "Adorare in Spirito e verità".
 
L'orazione di intercessione, come anche quella di lode, sono orazioni "affollate": e infatti preghiamo per gli infermi, missioni, ecc.. Nell'adorazione sparisce tutto il mondo e rimaniamo soli, Lui e io. Se non si rimane soli non c'è incontro vero. Potrei trovarmi in una assemblea orante di 5000 persone come nella mia camera ma se non rimango solo non c'è incontro reale. Ogni incontro, lo sappiamo, è intimità. L'intimità esige di essere soli. Nelle grandi decisioni siamo soli... così anche nella preghiera comunitaria. Che fare dunque per entrare in questo formidabile solitudine? Almeno tre indicazioni:
1) al calar della sera ascoltiamo una musica evocatrice. Questa melodia, per l'orchestra, per il momento di grazia che attraversiamo e non so per quali misteriose molle, sveglia in me la presenza del Signore. Se io, in quel momento, riesco a centrare la mia attenzione, se riesco a rimanere in Dio, allora la musica sfuma, sebbene continui a suonare, ed entro in relazione profonda: solitudine nella solitudine. È un fattore psicologico che abbiamo anche per lo studio, l'amore..!
2) è il tramonto e mi immergo nel cuore della natura. Questo complesso di colori, forme e tonalità, questa inebriante varietà di armonia e vita sveglia in me, non so per quale motivo, la presenza vibrante e amante del mio Dio e Padre. Io mi concentra nella fede, se... tutto sparisce a poco a poco, mare, montagna, canto della natura, benché continuino a brillare! Nell'apparire dell'Evocato scompare l'evocazione.
3) in questa notte serena esco all'aperto. Contemplo a lungo in silenzio la volta stellata e dico: al di là degli anni luce, ordinatore di tutto, sta Dio. Il mistero della creazione che canta Dio. Se riesco ad entrare in relazione con Lui, se sento la sua presenza, tutto sparisce, solo Lui rimane. Per giungere ad adorare in "Spirito e verità", dobbiamo andare più in là, non rappresentarcelo se non nel mistero e nel silenzio. È bene appoggiarsi alla creazione quando si inizia a pregare; è bene approfondire la teologia: ma i profeti provengono dal deserto dove Dio è solo mistero e silenzio. Dove si percepisce la sua presenza che va oltre ogni nostra immaginazione - dove regna solo la fede pura e la natura spoglia. Abbiamo bisogno, per entrare nella solitudine di Dio, di fede pura, di silenzio, di solitudine. Solitudine non nel rimanere isolati ma nel "percepirsi soli" di fronte al Signore, percepirsi unità e, quindi, identità per entrare in relazione con il Signore. L'uomo, a diversità di tutte le creature, è l'unico capace di autotrascendenza, di relazione con l'Infinito. L'uomo è "il centro è il vertice di quanto esiste nel mondo" ed è detentore di possibilità illimitate essendo stato creato a immagine e somiglianza di Dio. "Nella sua interiorità egli trascende l'universo intero: a quelle profondità (di se stesso) egli ritorna quando si volge al cuore, là dove lo aspetta Dio che scruta il cuore; là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino (G.S. 14) . È la sua zona intima e segreta, dove si incontra a faccia a faccia con il Signore: G.S. 16 "il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si ritrova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria". Dal Concilio emerge dunque questo: se questa zona non è popolata da Dio, l'uomo si sente solo, svuotato. A questo punto la solitudine diviene il nemico uno dell'uomo con tutte le angosce, paura ecc.. Allora, in questa luce, Dio diviene la pienezza anche della struttura psichica dell'uomo. E tutto ciò, se bene accettato, porta alla Sapienza, che è il risultato finale di quella pienezza di cui l'uomo si realizza aprendosi a Dio. La percezione di tutto ciò diviene il "luogo" dell'adorazione. È il tempio di silenzio e di solitudine dove si "adora in Spirito e verità". Dall'alto della montagna, di fronte a una grande moltitudine, Gesù aveva proclamato il programma del Regno Mt 5. Ora dice che per adorare non è necessario un lungo discorso né un luogo privilegiato. Ma basta entrare nella stanza interiore e chiudere bene la porta per incontrare Dio. Mt. 6,6. Quanto più tacciono le creature, così le immagini e spopolata è l'anima, tanto più puro e profondo sarà l'incontro. S. Giov. della Croce insiste: "imparate a starvene fuori da tutte le cose, le interiori e le esteriori e vedrete come io sono Dio". Molti rimangono fuori dell'esperienza forte di Dio perché non sanno realizzare questo difficile e indispensabile lavoro prima dell'incontro. Se non è possibile tutti i giorni però lo è nei tempi forti. Tanto più frequenti saranno i tempi forti, tanto più facile sarà vivere in permanente presenza di Dio. Per tutto ciò è necessario il silenzio e la percezione del proprio mistero. È necessario far tacere:
- il mondo esteriore: il rilassamento, sciogliersi...
- il mondo corporale: sciogliersi...
- il mondo mentale... lasciar andare emozioni, ricordi-urgenze..!
Una volta fatti questi esercizi, preparazione, sforzo, allora:
a) rimanere con il Padre. Percepire la Sua presenza e la sua misericordia. Atteggiamento di preghiera, di umiltà e sentimenti di amore e ascolto. Si entra nella sua ottica. Inizia il processo trasformante. Più profondo è l'Incontro, più la Presenza comincia a farsi presente, a illuminare, respirare, a orientare noi là dove le decisioni più profonde si prendono, le più ardite e coraggiose. Sotto lo sguardo del Padre. Si incomincia a camminare sotto il Suo sguardo. Si estrinseca, a livello inconscio, quanto è entrato in noi; ne emerge la vita cristiana come trasparenza di Dio stesso. Dio è al lavoro là dove sono racchiuse le potenzialità dell'anima: se lo lasceremo entrare... Dio realizza la nostra divinizzazione e la divinizzazione del mondo.
b) questo rimanere sotto lo sguardo del Padre significa parlare con Dio. Diverso è pensare a Dio e parlare con Dio. Pensare è per una persona assente. Parlare è percepirne la presenza. È un parlare come proiezione di coscienza. Tu sei qui! Tu sei con me. Esco sulla via e sei con me. Lavoro e tu rimani al mio fianco. Dormo e tu vegli su me. Sono smarrito, solo e Tu mi dici: io sono con te, non aver paura. Ovunque io vada, faccia ecc. tu sei accanto a me.
c) scambio di amicizia. Quest'espressione presuppone uno stato interiore interpersonale affettuoso. Amiamo e ci sentiamo amati. È uno "stare" in Dio. È uno scambio di sguardi. Dio è amore e tutto si realizza nell'amore. Santa Teresina così scrive: per me l'orazione è un impulso del cuore, un semplice sguardo diretto al cielo, un grido di gratitudine e di amore tanto in mezzo alla tribolazione come in mezzo alla gioia. Infine è qualcosa di grande, qualcosa di soprannaturale che mi dilata l'anima e che mi unisce Gesù".
d) intimità. La parola più significativa per chiarire la sensazione dell'incontro è: intimità. Intimità: l'incontro e al tempo stesso il risultato dell'incontro tra due interiorità. È la fecondità della trascendenza. È Dio che si offre gratuitamente per formare con noi una comunità d'amore di vita. Se l'uomo risponde si forma la comunità: "verremo a Lui e faremo la nostra abitazione presso di Lui". Lettura e meditazione di alcuni salmi che rivelano quanto detto, esercizi pag. 288
 
L'incontro è uno scambio di amicizia con Dio. In quel momento capita una presa di coscienza. È qualcosa di inspiegabile sul piano delle parole. È una realtà che supera l'intelligenza, la Parola; è una realtà che immerge nelle acque profonde di Dio. In questa sperimentazione è possibile che appaiano le energie misteriose di adesione, strane potenze di conoscenza... siamo in Dio, l'infinito! È un'esperienza della sua Presenza, viva, familiare, affettuosa, concreta. È l'esperienza immediata di Dio. Ma di questo basta: entriamo troppo dal profondo... È certo che questo cammino segnato e voluto da Dio porta alla trasfigurazione. La contemplazione infusa..! È l'incontro profondo. La contemplazione infusa il Signore la dè quando, come e a chi vuole. Per averla il cristiano non può fare nulla; questo dono non si merita, non si esige. È gratuità assoluta e straordinaria. Già lo abbiamo detto: normalmente, al principio, Dio lascia che l'anima si cerchi suoi propri mezzi e i suoi appoggi, non esistendo strumenti adeguati per discernere quando un'operazione spirituale è opera della Grazia e quando è opera della natura. Più tardi il Signore stesso irrompe progressivamente nello scenario, invalida le tecniche umane, strappa l'iniziativa sottomettendo l'anima a un atteggiamento passivo e fa di essa la dimora dell'Altissimo. Sappiamo che tutto è opera della grazia. Se suggeriamo metodi non è per snaturare la grazia ma per preparare la presenza al mistero di grazia, per cercare il Volto del Signore. Dio è silenzio! Da sempre Dio è nel silenzio! Non c'è dialogo più comunicativo in cui le parole vengono rimosse e rimane lo sguardo del silenzio. San Giovanni della Croce e Santa Teresa d'Avila affermano che quanto più l'anima si eleva e approfondisce le sue relazioni con Dio tanto più spariscono in primo luogo le parole esteriori, poi quelle interiori. Sparisce ogni dialogo. Eppure si crea una comunicazione intensa pure nel silenzio delle labbra e del cuore. Chiunque di noi, musicista, pittore, poeta ecc. ha bisogno prima di tutto di silenzio, percepisce il silenzio per percepire le persone, le cose, l'universo intero, Dio. Il silenzio della primavera che esplode, il silenzio dell'acqua che rende fertile la terra! Il silenzio è il passaggio obbligato per ogni profeta: Elia: Re 1 17,1-6; Gesù: Mt 4,1-11; Paolo: Gal. 2,17 ss. L'uomo moderno, lo sappiamo, sfugge il silenzio: distrazione, divertimenti, lavori: è da questa situazione che nasce la noia, la solitudine, l'inquietudine, la tristezza, l'angoscia.
Rifuggendo il silenzio sterile (quando ci ripieghiamo su noi stessi...) dobbiamo fare grandi sforzi per recuperarlo: ne va della nostra felicità e sicurezza. Il silenzio che apre all'amore di Dio apre al servizio ai fratelli. Il silenzio è nella verità se ci apre a questi due amori a Dio e agli uomini come fratelli. A salvaguardia dell'amore verso Dio e i fratelli ci sta il silenzio. Solo nel silenzio riusciamo ad ascoltare e interiorizzare la Sua Parola. I momenti di avanzamento nella vita spirituale così come le grandi rivelazioni sono accadute nel silenzio. È una legge costante della realizzazione delle opere di Dio: Sapienza 18,14-15. "Mentre un profondo silenzio avvolgeva ogni cosa, la Tua Parola onnipotente si lanciò a questa terra..!” La Bibbia ci presenta un bellissimo esempio di contemplativo: Mosé! Mosé, il contemplativo! Le sue relazioni con Dio si svolgono in un clima di immediatezza e in un "tu per tu" con il Signore, non esente da una certa tensione drammatica che sempre c'è quando prendiamo coscienza della sua prossimità, vicinanza. Tutta la grandezza umana e profetica di Mosé ce la sintetizza il libro dell'Esodo con le seguenti parole: "Così il Signore parlava con Mosé faccia a faccia come un uomo parla con un altro" 33,11. Mosé è stato modellato direttamente dal torchio di Dio in quei lunghi giorni e notti dentro una nuvola, avvolto dal silenzio e dalla solitudine, fronte a fronte con Dio sulla cima del monte. Mosé è un'opera d'arte di Dio stesso. È ardente come il fuoco e soave come la brezza. Fu militare, politico, contemplativo. A guardare la sua statura umana giungiamo a concludere che quando Dio prende, trasforma e forgia con la purezza, la forza, il fuoco. Divenne l'uomo che seppe equilibrare il momento contemplativo e il momento dell'azione in mezzo a un popolo "dalla dura cervice". Nel caso di Mosé: momenti contemplativi, di silenzio, di ascolto assumono rilievo straordinario. Quando è il momento "sa salire sulla montagna". È sinonimo del “salire a Dio”! E quando è sulla cima Dio esige una solitudine assoluta. E così ordina di tracciare meticolosamente un cerchio sulle prime rampe della montagna sì che nessuno lo possa varcare giacchè "chiunque toccherà il Monte sarà messo a morte" Es. 19,12. E' una solitudine-silenzio così esigente che, anche quando Mosé si fa accompagnare da Aronne e dagli anziani, questi tuttavia devono rimanersene lontani quando lui entra in dialogo con Dio 24,2. Il monte Sinai è silenzio, solitudine: 2285 metri, roccia, vento, sale, sabbia, solitudine. È qui che Dio prende la forma di nube, che è pure simbolo di silenzio e solitudine. Lettura di Es. 24,15-18.
Che cosa succede in quei 40 giorni e 40 notti dentro la nuvola, sulla cima della montagna? È uno dei grandi misteri della storia umana. Sappiamo solamente che quando Mosé ne uscì e scese alla pianura, gli ebrei non potevano sopportare la luce abbagliante che irradiava dal volto di Mosé. Dovette mettersi un velo perché gli ebrei potessero guardarlo e ascoltarlo. Quando entrava nella nube... Es. 34,35. Certo è carico di simbolismi tutto ciò. Ma ciò che a noi interessa sottolineare è che Mosé, il profeta più impegnato di tutti in un progetto di liberazione e di costruzione di una nazione, fu un uomo che coltivò, come pochi, il silenzio della solitudine. Un altro uomo che alterna il fragore della battaglia con la solitudine in Dio è il profeta Elia. Non è un profeta da "tavolino..." ma di azione, perciò colpiscono l'attenzione i suoi lunghi periodi di silenzio e di solitudine. Elia si erge sorprendentemente come una fiamma sulla scena della storia di Israele. Dio lo separa dal suo ambiente e lo conduce in un luogo solitario, un burrone, per trasformarlo in "uomo di Dio". 1 Re 17,2...6. E durante la sua vita Dio lo mantiene appartato dalla società: è consacrato a Dio. Non ha dimora fissa. Erra come il vento, sfinito e diretto da Dio stesso. La sua dimora è la solitudine. Il profeta intanto si abbandona sempre più alla volontà di Dio. Questo abbandono lo introduce progressivamente nella più segreta e profonda intimità di Dio. Peregrina per 40 giorni e 40 notti fino al Monte Oreb. È qui che l'ineffabile gloria di Dio si presenta a Elia. Tutto rimarrà mistero! Ma discendendo dall'Oreb l'atteggiamento di misericordia, di bontà di Elia dicono quanto sia stato sconvolgente incontro sull'Oreb 1 Re 17,20-24. Quando appare in pubblico è vera voce di Dio che echeggia: "Per la vita del Signore, Dio d'Israele, alla cui presenza io sto". Le uniche cose che lo preoccupano sono gli interessi e la gloria di Dio. Perciò la potenza di Dio risplenderà nei suoi gesti e nelle sue parole. È un soldato; quando Dio lo invia, egli va, con coraggio di fronte a tutti..! La solitudine lo tempra per le imprese più audaci. È una vita alternata: si occulta in Dio e risplende davanti agli uomini. Tutta la vita di Gesù è silenzio. La prime tappa: l'incursione. Il silenzio della nascita di Dio in una capanna... la vita a Nazaret... la stessa vita pubblica alla ricerca della solitudine: "sono venuto a portare il fuoco. Come vorrei che fosse già acceso" Lc. 12,49. La solitudine del Getzemani, la solitudine e il silenzio della salvezza... Tutto nel silenzio. La contemplazione non è un discorso teologico e neppure una riflessione esegetica. Non è un intendere analiticamente le cose ma... possederle! Il botanico guardo un fiore e ne analizza le singole parti; il poeta invece "intende", "possiede" il fiore! Così il teologo analizza, discute; ma è il contemplativo che si sente preso da Dio..! Il contemplativo non è un osservatore ma un ammiratore. Lo stupore è l'inizio, la base. Lo stupore dell'inizio delle lettere di San Paolo, del Magnificat ecc.. Il meditativo vive ancora nell'io; il contemplativo vive al di sopra di tutte le meschinità, gli altri-bassi ecc. vive in Dio. Nella mente del meditativo vi è un lavoro, uno sforzo immenso, conclusioni, argomenti, deduzioni: o una cornice dove spiega, costruisce, analizza ecc.. Il contemplativo è invece immerso nel silenzio. È un silenzio popolato di stupore dove il salmista giunge a cantare: "O Signore nostro Dio, quanto è grande... sopra i cieli s'innalza la tua magnificenza" Salmo 8.
 
Nulla spiega, nulla analizza, sente, è immerso! Non gli serve più nulla se non sapere di essere alla Sua presenza; non vuole sapere più nulla; è avvolto e compenetrato dalla Sua presenza. San Giovanni della Croce scrive: "Restai e dimenticai, il volto reclinato sull'Amato; cessò tutto e mi abbandonai lasciando ogni timore tra i figli dimenticati".
Riassumendo: la meditazione è analitica, concettuale, induttiva, selettiva, schematica. La contemplazione è intuitiva, integratrice, soggettiva, sintetica, totalizzante, affettiva, unificante. Le due cose si possono trovare mescolate ed avere poi diversissimi gradini in una sola preghiera stessa! La contemplazione, ancora, è ciò che nella Bibbia prende significato il verbo "conoscere". Va al di là del sapere umano ed esprime una relazione esistenziale. L'oggetto della contemplazione è Lui e il Suo amore per il mondo: ma quanto più si prosegue nella via della contemplazione tanto più sparisce anche ogni immagine di Dio... per "sentirlo" nel silenzio. Due silenzi che si incontrano e che si incrociano. San Giovanni della Croce ci dà i seguenti suggerimenti per questo cammino 1) gustare di starsene da soli con attenzione amorosa a Dio. 2) lasciare l'anima in riposo e quiete, sebbene si abbia l'impressione di perdere tempo - restare in pace interiore, quiete, sollievo. 3) lasciar libera l'anima, sgombra e riposata da ogni discorso mentale, senza preoccuparsi di pensare o meditare; 4) evitare affetti e preoccupazioni che inquietano e distraggono l'anima dalla calma quiete.
 - solamente attenzione e notizia generale, sebbene amorosa senza intendere su che cosa. Che significa questa ultima frase: "notizia generale amorosa"?
Generale: non su un punto particolare. Esempio del paesaggio. Non è su un punto ma complessivo... così in Dio..! Guardare nell'infinito. Amorosa: la vicinanza della persona amata produce sempre emozione, attesa, stupore. In tutto questo discorso qualcuno potrebbe pensare, soprattutto all'inizio dell'esercizio spirituale, di stare a perdere tempo. È necessario non spazientirsi e perseverare. Si tratta di raggiungere lo spirito di orazione; si tratta di camminare "alla presenza di Dio". Importa:
+ un ambiente adeguato, solitario... cappella, montagna, camera...
+ tempo: è necessario averne per non essere sollecitati dalla fretta.
+ posizione: comoda, orante, in quiete completa.
È necessario ottenere silenzio, il moto interiore, sospendendo sentimenti, emozioni, ricordi, preoccupazione del futuro, staccandosi da tutto ciò che è in noi e fuori di noi. Non pensare a nulla; meglio, non pensare nulla.
Non lasciarsi afferrare da nulla, senza fissarsi in nulla.
Ora apriamoci alla Presenza. Amare e sentirsi amati. Nessuna raffigurazione di Dio. Dio spogliato di tutto. Nessuna localizzazione di Dio. Dio non è vicino o lontano, lo sento oppure no! Lui e la Presenza! Lui è l'onnipotente presente che tutto circonda e avviluppa. Lui è..! Dimenticare di esistere. Non preoccuparsi se tutto ciò è frutto della natura o della grazia. Non preoccuparsi di capire, di intendere ma solo un'attenzione aperta, amorosa, quieta al Tu divino. Con le labbra nulla; con la mente nulla. Guarda e sei guardato. Sta' alla Sua Presenza!
È Lui che vuole amare.
È Lui che vuole riempire.
È Lui che vuole inondare.
È Lui che vuole vivificare.
Resta così, per lungo tempo. Poi "torna" alla vita, in mezzo agli uomini, pieno di Dio!
 
Per un cammino di Liberazione.
Riconosco che l'orazione può trasformarsi rapidamente, e senza che ce ne accorgiamo, in una evasione egoistica e alienante. Ci sono state persone che hanno fatto dell'orazione un'attività sterile, non perché sottoposti alla prova dell'aridità bensì perché, vivendo in una devozione sensitiva, avevano cercato il piacere, la pace e le consolazioni in se stessi. L'orazione prende la vita, sfida e trasforma la vita. Molti giovani giudicano e condannano gli anziani perché, pur non tralasciando mai di pregare, si mantengono, secondo loro, per tutta la vita egoisti e immaturi. Perché dunque pregare se coloro che pregano sono egoisti ecc?... ma è perché non pregano... o pregano male... o se pregano bene che cosa sarebbero se non pregassero. L'incoerenza tra coloro che pregano nella vita ci sconcerta. Non si può generalizzare... Ma le veglie di preghiera, le preghiere di Taizè, quelle delle ore 19 che non trasformano... non mi impegnano... non si capisce... È vero, non possiamo giudicare perché il superamento di un difetto... quant'è lungo! Ma dobbiamo creare unità tra orazione e vita. Vi sono comunque persone che hanno pregato per tutta la vita e si sono sempre trascinate dietro un cumulo di difetti. Perché Dio non ha dato la pace, l'interiorità, il superamento..? Forse questi invece di adorare Dio si sono dedicati al culto di loro stessi. Sono stati vittime di un fenomeno sottile, tanto inconscio quanto tragico, di trasferimento; senza saperlo hanno attuato una trasposizione del loro io in ciò che essi chiamavano "Dio". Quel dio invocato con tanto... non era il vero Dio. Era una proiezione dei loro timori, desideri, ambizioni. In Dio hanno cercato se stessi; si sono serviti di Dio anziché servire Dio. Quel dio non è mai stata "l'altro"... l'infinito... fuori da loro stessi... Invece di amare Dio hanno amato soltanto loro stessi strumentalizzando Dio. Il loro dio è un dio falso, confezionato su misura dalle loro passioni. Per questo anche quando pregano sono sempre centrati su se stessi. Chiusi in loro stessi. Ecco perché non si cresce in maturità e si trascinano, fino alla sepoltura, gli infantilismi, l'aggressività e difetti congeniti. Se non c'è uscita da se stessi non c'è libertà. Se non c'è libertà non c'è amore. Se non c'è amore non c'è maturità.
Liberazione dunque!
Il Dio della Bibbia è un Dio liberatore. È colui che sempre interpella, incomoda e sfida. Non risponde ma domanda. Non risolve, suscita conflitti, non facilita, crea difficoltà. Non spiega, complica. Non genera infanti ma profeti adulti.
Noi lo abbiamo convertito in un dio-spiegazione di tutto ciò che non sappiamo; un dio-potere per risolvere tutta la nostra impotenza; un dio-rifugio per risolvere tutte le nostre limitazioni, sconfitte e disperazioni. È la proiezione dei nostri timori e delle nostre incertezze. Ma non è questo il vero Dio della Bibbia. Alcuni personaggi famosi del nostro secolo hanno affermato che la religione produce individui alienati e infantili, Dio è la gran madre che libera dalla paura, ed evita la lotta aperta per la libertà e l'indipendenza. Nietzsche afferma che il Dio di lassù non ha permesso agli uomini di quaggiù di diventare adulti. Ma questo non è il Dio della Bibbia. Questo Dio deve morire. In questo senso possiamo parlare correttamente della morte di Dio. È la menzogna, è la maschera inventata di Dio, e la nostra pigrizia, ignoranza di Dio. Il vero Dio è quello perpetuamente pasquale. È un Dio che invita alla lotta, ad essere responsabili, attenti, dinamici. È il Dio che non mantiene bambini ma, appena creati, taglia il cordone ombelicale: "Siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela...". Dio di uomini liberi e responsabili, solidali! Il Dio della Bibbia non è colui che dà la salvezza dell'anima ma la salvezza che abbraccia tutto l'uomo. Porta la salvezza integrale. Il Dio della creazione è un Dio sfidante, provocatore, liberatore. Il nostro dramma è il seguente: dal giorno della caduta l'uomo si sente irresistibilmente orientato a essere "dio". Un dio che costringe, sottomette, strumentalizza gli altri perché siano adoratori. Tutto si appropria e si finalizza: denaro, potere, bellezza, intelligenza, simpatia, sesso... tutto sottomette "La creazione infatti è stata sottomessa a caducità"... Rom. 8,20. Usa ed abusa; un despota. Se potesse dominare il mondo intero, lo farebbe. Se potesse appropriarsi di tutte le creature, lo farebbe. Se potesse sopprimere tutti gli uomini, lo farebbe. Sente una pazza e insaziabile sete di onore, gloria, applauso, adorazione. È il suo e nostro peccato: pretendere di essere come Dio. Tutto ciò che si evidenzia come nemico è messo a tacere; è in guerra contro qualsiasi concorrente. E' nel delirio. Crede di amare e ama se stesso; crede di essere libero ma si fa sempre più schiavo. "Nemico dell'uomo è la propria carne" diceva San Francesco. Pazzia, sfruttamenti, ammassa fortune sul sangue degli sfruttati, schiavo di se stesso. È un idolatra. Necessita di redenzione. La schiavitù dunque consiste nell'"egolatria", idolatria dell'io. Allora il nostro problema consiste nel rinnovare il Dio-io per soppiantarlo col vero Dio. La salvezza consiste nel fatto che Dio sia il vero Dio e il mio Dio. Per arrivare a questo, bisogna smantellare quel mondo di desideri, di sogni e chimere costruito intorno all'idolo-io e che, a loro volta, continuamente lo rigenerano e lo arruolano. È necessario smantellare, ripulire da tutte le divinizzazione, assolutismi perché Dio prenda posto..! La liberazione passa attraverso la povertà e umiltà nell'esempio di Gesù. Solamente il sentiero del nulla (liberazione assoluta, nudità totale) ci deve condurre alla cima del tutto che è Dio. San Giovanni della Croce: "Da tutto ciò che non è Dio si deve liberare l'anima per andare a Dio". Dio, alla sommità del Sinai sancisce l'Alleanza, per sempre e per tutti: “Io sono il... non avrai altri dei all'infuori di me.". Formula antica, che viene dal deserto ma rappresenta il segreto finale: che Dio sia Dio in noi. La troviamo questa formula nella vita di Mardocheo in un momento tragico della sua esistenza: Est. 4,17d-17e lettura! E affermazioni e vita di martiri! L'unico idolo che può disputare palmo a palmo il regno di Dio sul cuore dell'uomo è l'uomo stesso. O si ritira l'uno o si ritira all'altro. I due non possono governare, nello stesso tempo, suo stesso territorio. "Nessuno può servire due padroni" Mt. 6,24. O l'io, o Dio! Quando l'intimo dell'uomo è liberato da interessi, proprietà e desideri, Dio può farsi presente senza difficoltà. Il contrario se il nostro intimo è occupato dall'egoismo, allora non ha posto per Dio. Il territorio è occupato. Quanto più ci distacchiamo dal nostro io tanto più Dio... Allora il programma diviene diverso Giov. 3,30. "Egli deve crescere e io diminuire". Leggere Isaia 2,11-21 che esprime queste idee con acutezza insuperabile!
"Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli". Mt. 5,3. A misura che l'uomo si fa povero, spogliandosi in funzione di Dio di ogni appropriazione interiore ed esteriore, autenticamente i segni di Dio comincia a dispiegarsi nel suo intimo.
Possiamo tranquillamente dire che la prima beatitudine contiene tutto il Vangelo di Cristo. La liberazione avanza quindi per il cammino regale della povertà. Il primo comandamento riassume tutto! L'amore esatto, perfetto, che vale, è quello che parte dal primo comandamento e dalla prima beatitudine; è l'amore liberato dalla povertà. San Francesco diceva: "La povertà è la radice della santità". L'orazione deve essere un momento e un mezzo per liberare le forze raccolte al centro di noi stessi e disporle al servizio degli uomini.
Essere poveri è anche condizione indispensabile per creare una gioiosa fraternità. San Francesco, volendo fondare una fraternità di penitenti, pose la povertà-umiltà evangelica come unica condizione e possibilità per costituire in una reale fraternità i suoi seguaci. Francesco si rese conto che la proprietà è potenzialmente violenta. Il vescovo Guido gli domandò: "Perché non vuoi ammettere delle proprietà per i fratelli?". Rispose Francesco: "Se avessimo proprietà avremmo bisogno di armi per difenderle". Risposta di enorme sapienza. Se gli uomini sono pieni di se stessi, di interessi, gli interessi degli uni urteranno contro gli interessi degli altri e la fraternità sarà sconvolta. Quando l'uomo è minacciato nella sua ambizione e nel suo prestigio personale, lotterà per difendere la sua preminenza e dalla difensiva passerà all'offensiva utilizzando rivalità, invidie, intrighi, accuse, violenza! Per Francesco: se i fratelli vivono impregnati del discorso della montagna, allora saranno uomini veri, pieni di soavità e di dolcezza per i fratelli. Se invece i fratelli si faranno dominare dalla invidia, avarizia, solleciti nelle cose di questo mondo, sarà ironico chiamarli ancora fratelli. Per essere un buon fratello è necessario prima essere un "buon minore", libero cioè da ogni ambizione e da ogni proprietà.
+ La liberazione di se stessi è anche condizione per la maturità umana e per la stabilità emozionale. Per capire... basta esaminare gli atteggiamenti infantili. Quando qualcuno vive pieno di se stesso, strisciando per mendicare la stima degli altri, preoccupato per la figura... e tutto va come lui desidera: e allora reazione sproporzionata di felicità. Quando viene criticato... allora si butta giù, si demoralizza sproporzionatamente, abbattuto, depresso! La ragione? Un io divinizzato, aureolato! Non può sopportare di essere criticato. È necessario liberarsi di questa falsità diversamente si rimarrà sempre infantili.
Gli Ebrei prima della deportazione in Babilonia: sognatori! Sarà la schiavitù in Babilonia a renderli poveri, a liberarli da tutti i sogni.
Solo allora inizieranno ad essere "popolo di Dio". Così noi: liberarsi dalle false maschere e accettare i nostri limiti, la nostra precarietà e indigenza per diventare sapienti, liberi. Immaginiamo il caso contrario: l'uomo che ha combattuto per liberarsi da se stesso e dalle proprietà ed è diventato "povero in Cristo". È diventato obiettivo. Se lo mettono in trono, non muore di gioia; se lo detronizzano, non muore di paura. Il suo animo permane stabile davanti agli applausi e davanti alle critiche; più è libero di se stesso e più è tranquillo di fronte a tutto. È un uomo cesellato dallo Spirito, soave, paziente, piena di dolcezza e di equilibrio. Il povero del Vangelo è un aristocratico dello spirito. Niente e nessuno potrà turbare la pace del suo spirito perché niente ha da perdere, non essendosi "appropriato" di nulla. La liberazione di se stesso evidenzierà un uomo straordinario, maturo, equilibrato, invidiabile, stabile nelle sue reazioni ed emozioni, un uomo adulto.
Tutto questo cammino di liberazione avviene nell'incontro con Dio. Oggi si dice che la liberazione nell'incontrare Dio avviene, come luogo, nel mondo, con l'incontrare l'uomo. È anche vero. Però tutti gli esempi che abbiamo di grandi liberatori di popoli, non incontrarono Dio nelle guerre, nelle tempeste, nelle lotte sociali - Elia, Mosé, ma in una solitudine completa e qui acquistarono la tempra e il vigore per le aspre lotte. Così fu per Gesù.
E' alla presenza di Dio che noi giungiamo con il carico di tutte le difficoltà, problemi. È qui, nell'incontrare Lui, che inizia la grande battaglia della liberazione. L'incontro con Dio genera forza. Incontro come uno stare con Dio! Per questo incontro nasce la forza del perdono, si affronta la ripugnanza, si offre quanto si ha. Allora si scopre che si riesce a superarsi: si corre a ringraziare... e da qui emerge il nuovo amore e nuova forza. Anzi la situazione ripugnante che si vuole superare si trasforma frequentemente in dolcezza. S. Francesco nell'incontro con il lebbroso. Ogni briciolo di egoismo (avarizia, non generosità ecc.) che si supera in Dio e per amore di Dio, fa crescere l'amore. Anche le grandi battaglie della pazienza ecc. con Dio, certo costa molto... ma sarà sempre compensato con gioia e amore. Quando si incomincia a vivere quest'incontro con profondità allora ci si accorge che è Lui "che ti prende", sente di crescere in Lui, e ti senti realizzato in Lui. Questa sensazione equivale esattamente a quella onnipotenza inebriante e sfidante di cui parlava San Paolo. "Se Dio è con noi, che sarà contro di noi?" Il problema sta nello sperimentare che Dio è con me. Chi lo ha sentito veramente, sa cosa è la liberazione assoluta. Di fronte al mondo l'uomo in cammino con Dio sa di perdere in prestigio, ma guadagna in libertà.
E anche quando sente la voce del mondo affamato, assetato, che vive sfruttato... colui che ha incontrato Dio scende nell'arena, parla, si muove, denuncia ma discerne alla luce di Dio. Anche quando si trova nella politica l'uomo di Dio sa che deve essere un testimone piuttosto che un politico. Scende, come Mosé, dall'incontro con Dio per mettersi al fianco dei poveri, per difendere oppressi e liberare gli schiavi ma orientato da Dio e di Lui profeta e testimone. E' qui allora che, sollecitato dall'amore, inventa nuove vie, nuove forme, nuove opportunità, diviene instancabile nell'amore e per l'amore. È integro, integerrimo, aperto al perdono e dimentica i torti, evita ogni suscettibilità. Dimostra di possedere se stesso perché l'ha donato! E cresce nella fede e nell'amore. E la sua vita è nella gioia, nello splendore di Dio.
 
Passaggio dall'egoismo all'amore.
Qual è stato il piano originale di Dio nel creare l'uomo? Comunione. Alleanza. Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Per realizzare comunione. E questa, prima del peccato, era cosa facile e naturale, perché Dio e l'uomo e erano in armonia.
Poi arrivò la deformazione del peccato. Perché vi possa essere ancora armonia dovrebbe avvenire una profonda purificazione nell'interno dell'uomo mediante la penitenza. Solo allora si avrà ancora l'armonia, la somiglianza. Il peccato è la tragica realtà che affonda le sue radici nella sostanza stessa dell'uomo. Salmo 50 "nel peccato mi ha concepito...". Il peccato ha distrutto l'ordine iniziale e la penitenza ristabilirà allo stesso ordine iniziale. La penitenza diviene lo strumento della rettificazione: com'era al principio. Penitenza significa pure "convertirsi". La conversione è il cammino lungo e faticoso verso Dio. È un continuo passare dal nostro psichismo - uomo vecchio - a ciò che vuole l'amore di Dio. Il passaggio dall'egoismo all'amore - dal nostro io a Dio-. Il discorso della montagna deve portarci a questo passaggio. Si parla della povertà, dell'umiltà di cuore, di mitezza, di pazienza, di mansuetudine, di perdono. Il che significa che tutte le esigenze idolatriche dell'io vanno combattute, negate, perfino represse; le violenze interiori calmate. E quando queste sono combattute allora si libera l'amore. È la seconda parte del discorso della montagna:
-fare del bene a quelli che ci fanno del male Mt. 5,38-42
- perdonare quelli che ci offendono Mt. 6,12
- fare la pace davanti all'offerta Mt. 5,23-25
- correggere il fratello Mt. 18,15
- fare del bene senza cercare la gratitudine, la ricompensa Lc. 6,35
- presentare l'altra guancia Lc. 6,29
- amare tutti e non solo quelli che ci amano Lc. 6,32
La penitenza è dunque un incessante passaggio dall'egoismo all'amore. Ma la strategia della conversione che Gesù presenta è ancora più chiara nell'esperienza che gli Apostoli fanno, a contatto con Gesù, esperienza da stordire gli Apostoli.
Gesù accetta la confessione di Pietro. "Tu sei il Cristo...". Egli è veramente il Messia. Gli Apostoli cominciano a immaginare il loro maestro che sconfigge, a capo di... si risveglia in loro l'uomo vecchio, desideroso di appagare sogni di gloria, di affermazione. Ebbrezza del potere! Ma Gesù, conoscendo il cuore dell'uomo e conoscendo quanto fallace sia un sogno di tale genere, afferma: Mt. 20,18-19; Mc. 8,31; Lc. 9,22.
Doccia fredda dunque. L'uomo vecchio reagisce: "non compresero nulla di tutto questo" Lc. 18,34 come a dire: non vogliamo sapere nulla della croce, ripugnanza di ciò che fiacca il sogno! Pietro, ancora nell'uomo vecchio, sognatore, ritorna alla carica: Mc. 8,32. La risposta di Gesù Mc. 8,33. Mt. 16,22; Mt. 16,23. È come dire: "Amici, se volete seguirmi, dovete prendere la croce ogni giorno; chi ha riguardo di se stesso, sarà perduto; non serve che mi segua.” Il chicco di grano si convertirà in vita quando accetterà di morire. Chi vuol vivere deve morire. Mt. 16,24-27; Mc. 8,34-38; Lc. 9,23-27; Giov. 12,25.
Per facilitare questa morte di sogni, la morte dell'io, perché non si abbattessero, portò i capi del gruppo e si trasfigurò davanti a loro per dare loro sicurezza, prospettive di gioia. È come dire che il Calvario è la strada del Tabor; la morte per la risurrezione; la penitenza per la trasfigurazione, la liberazione in Dio. È un fatto storico che uomini così importanti come Francesco, Giovanni della Croce e tantissimi altri realizzarono la loro trasformazione attraverso anche la penitenza corporale; soprattutto attraverso la penitenza corporale. Francesco, si disse, visse da crocifisso. Giunge a chiedere perdono al fratello asino per i maltrattamenti subiti. Eppure Francesco fu un cantore della bellezza del creato. Era la purificazione per non imbrattare nulla, possedere nulla, e quindi, gioire di tutto. Sull'esempio di Francesco: mortificazione per privarsi di tutto e possedere tutto. Non privarsi si rimane annoiati, non soddisfatti; privarsi è realizzarsi perché il nostro cuore può riempirsi solo nell'infinito, Dio! Santa Teresa d'Avila: solo Dio basta!
Il mondo dice, beati i miliardari... beati... Ma anche noi. Infatti ciò che abbiamo affermato se rimangono considerazioni intellettuali pure noi affermiamo beati i milionari. Ma quando il Vangelo, l'incontro con Dio viene sperimentato allora sì, lo affermiamo, solo Dio basta! Tutto il resto è di Dio, canta Dio, è l'armonia di Dio! E quando si incomincia a vivere così di Dio allora nasce l'esigenza della fraternità, dell'attenzione ai poveri, dell'accettazione delle infermità. Ma se non vi è allevamento all'amore, alle privazioni volontarie, alla mortificazione, ciò che abbiamo affermato rimarrà sola esperienza di un momento. Tutta la nostra vita spirituale cadrà.
Allora è necessario l'incontro reale con Dio e la lunga e continua mortificazione che dà spazio a Dio. In questa luce prende valore la castità, l'obbedienza, il celibato, la fedeltà coniugale, l'amore al prossimo, la pazienza ovunque! Si deve intendere la mortificazione come amore, la privazione come amore. Chi non sa privarsi di qualcosa, chi non sa mortificarsi è perché è rimasto infantile, non è cresciuto, non ama a sufficienza, e ancora schiavo dell'io!
(- Il mistero delle anime vittime e il corpo mistico di Cristo! Il mistero della solidarietà! Il vero benefattore dell'umanità! L'apostolato della sofferenza e della preghiera nascosta).... ad immagine di Gesù!
C'è nella Bibbia un fatto misterioso, carico di forza primitiva e selvaggia: è il combattimento che Giacobbe sostenne con Dio. Giacobbe prese i suoi undici figli, le due mogli e le due schiave e insieme a tutti i suoi averi fece attraversare loro il fiume Iabboth. Giacobbe rimase indietro ed ecco, mentre era avvolto dall'ombra della notte un uomo sostenne con lui un duro combattimento fino allo spuntare dell'alba. In una fase del combattimento quell'uomo gli toccò il nervo sciatico e gli slogò la giuntura dell'anca. Poi gli disse: "Lasciami andare perché è spuntata l'alba". Giacobbe rispose: "non ti lascerò se non mi avrai benedetto". Quello gli domandò: "come ti chiami?". Rispose: "Giacobbe!". "Non ti chiamerei più Giacobbe ma Israele perché hai combattuto con gli uomini e con Dio e hai vinto". E Dio benedisse Giacobbe. Questa narrazione è piena di un denso simbolismo: l'uomo che si abbarbica a Dio, si impossessa in qualche modo della sua forza divina e gli strappa la sua protezione; l'uomo che scende in battaglia con Dio e accetta di essere attaccato da Lui e viene trasformato da Dio. Il nervo sciatico dove Giacobbe fu colpito è l'egoismo, asse di sostentamento e trave maestra di ogni tendenza peccaminosa. Dio attacca in quel punto nevralgico e demolisce tutta la forza dell'avversario. Vulnerato in questo punto l'uomo incomincia a trasformarsi in Dio e a partecipare della maturità e grandezza del Signore a immagine di Gesù. La ragione profonda di tutto l'episodio: quando l'uomo incontra Dio non può se non dedicarsi, vibrare profondamente per Lui. La linfa si trasforma in pianta; il ferro si converte in fuoco ecc.. L'uomo nell'incontro con Dio si trasforma in Dio. Solo se l'uomo non oppone resistenza. In tutto ciò è importante l'abbandono. E l'uomo diviene la trasparenza di Dio: l'immagine e somiglianza - testimone vivente. Ma questa è la meta finale: trasformarsi in Gesù. Qualsiasi contatto con Dio che non conduca a questa meta è una pura evasione alienante. Il cammino della vita è il cammino della progressiva trasformazione di Lui. Tutta la vita con Dio è volta a riprodurre il più fedelmente possibile in noi i sentimenti, gli atteggiamenti, le reazioni, i riflessi mentali e vitali di Gesù. 1) Misericordioso-sensibile. In diversi momenti il Vangelo riferisce espressamente che Gesù "sentì compassione". Mt. 9,36; 14,14. Mc. 1,41 ecc.. Il suo volto si trasformava, quasi si identificava con il disgraziato che aveva davanti, la sua commozione interiore si rifletteva nelle parole e negli occhi. Gesù non poteva osservare una sofferenza senza commuoversi. Mai visse per sé ma sempre con e per gli altri. Questo suo vivere per l'altro, soffrire con chi soffre fu così palese e impressionò tanto vivamente che i testimoni non lo poterono dimenticare e lo riferirono con fedeltà. Gesù mosso a compassione del lebbroso stese la mano e lo toccò, dicendogli: "Lo voglio, guarisci". Mc. 1,41. "Vide una gran folla e sentì compassione per loro e guarì molti malati" Mt. 14,14. "Gesù percorreva... curando ogni forma di infermità". Mt. 9,35 non prese cibo finché non ebbe curato Lc. 14,2-4. Nella sinagoga interrompe la sua predicazione per sanare l'uomo dalla mano inaridita Mc. 3,5; e la donna ricurva Lc. 13,11-12.
Gesù invitò a sé la massa degli affaticati e oppressi per ricevere un messaggio che avrebbe ridato loro la pace Mt. 11,28-30. Egli è venuto per annunziare ai poveri... Lc. 4,18-19. Tutto se stesso metteva al servizio di coloro che erano nel dolore. Pose le opere di misericordia come programma e esame finale per l'ingresso nel Regno. Gesù stesso si identificò con gli affamati... avevo fame e mi avete..!
2) Mansueto e paziente. Gesù spirò dalla sua persona un'infinita pace, calma, dolcezza e dominio anche quando lo affliggevano, lo attaccavano, lo assediavano. Il premio ai perseguitati, vinti, mansueti. Gesù stette davanti agli accusatori e ai giudici con umiltà, pazienza, silenzio, dignità. Non si difese né si giustificò. Anche di fronte a re Erode - Pilato! Lo sguardo di Gesù su Pietro che lo aveva rinnegato: amore! Tutta la passione... perdona loro..! La pace agli apostoli la sera della risurrezione. “Vi esorto ad avere i medesimi sentimenti di Gesù Cristo: dolcezza, mansuetudine..."
3) Predilezione per i poveri. Scelse la stessa condizione: nascita, vita, morte da povero. Per i poveri il Regno. Beati i poveri. Simpatia per la vedova che versa... per il povero Lazzaro. All'inizio della predicazione: ai poveri è annunziata la lieta novella Lc. 4.
4) Comprensivo e attento. È un ladro che salva in croce! L'attenzione a Zaccheo. Samaritana. Donna peccatrice. Nicodemo. Va a pranzo..! Con i bimbi..!
5) Sincero e verace. Sì, sì! No, no! Riconosciuto anche dai nemici "Maestro tu che dici la verità". Sa di parlare apertamente: "Ipocriti". Non una contraddizione.
6) Amore sempre. I suoi amici ebbero vivissima impressione che il maestro aveva soprattutto amato. Per questo lo intesero perfettamente quando disse loro: "Amatevi come io vi ho amato". Amò tutti. Apostoli, bimbi, peccatori, Marta Lazzaro e Maria, Giuda fino all'orto del Getsemani. Amò il popolo fino a sentire compassione, a piangere! "Rimanete nel mio amore". Gli altri se ne accorsero: "Ha tanto amato da dare addirittura se stesso sulla croce...".
7) Umile e soave. In ogni circostanza. Dolcezza!
8) Senza preoccupazioni di se stesso e preoccupandosi degli altri... Con il popolo affamato. Non aveva tempo per riposare.
 
Questo è il cammino della liberazione, della verità per incontrare il Suo Volto.