1°) IL FINE: GLORIA DI DIO COME SCOPO ASSOLUTO DELLA VITA CRISTIANA.
 
I.
  • Alcuni romanzi come:… è esperienza di Dio! “L'uomo e il cane” di Cassola: un cane che non sa cosa farsene della libertà e finisce miseramente. Valore della libertà… “Il cane sull'Etna” di Pomicio: lo smarrimento dilagante. “Il quinto evangelio” di Pomilio: le cause di un malessere che è di tutti. “Il ponte nel deserto” di Carafa: esistenza vista come dedalo di inganni, come miraggio ingannevole, incomprensione… “Un altare per la madre” di Camon: un canto per la madre ma per tutta l'umanità. La morte come tregua. Dio come risposta. “Quello che io credo” di Clavel: la tragedia dell'uomo e la scoperta.
  • Fenomenologia dell'uomo: esperienza!
    • La dimensione corporea: l'uomo trascende il corpo (suicidi, droga)
    • La vita umana: non si identifica con quella degli animali ma è una vita che attinge livelli spirituali molto elevati, livelli che cerca sempre di superare. Il suo vero significato può essere colto soltanto scoprendo il traguardo cui è orientato.
    • La conoscenza sensitiva e intellettiva: cioè l'uomo è autocoscienza. L'autocoscienza è una spia della verità dell'essere dell'uomo. E la comprensione di sé la ha solo in Dio.
    • La volontà, la libertà, l'amore, la sessualità…: in tutto questo c'è una spinta potente e continua ad autotrascendersi che non si placa mai. Nella volontà, nelle passioni, negli interrogativi pungenti, nell'esigenza d'amore..!
    • Problema del linguaggio: il linguaggio, per sua natura costitutiva, è metafisico.
    • La dimensione sociale: tarda ad autotrascendersi verso l'unità, la comunità…
    • La cultura: dice la continua esigenza di trascendenza. Dalla cultura appare la metafisicità dell'uomo.
    • Il lavoro e la tecnica: cerca di migliorare, non è semplicemente homo faber, ma intelligenza, creatività, originalità esigenza di perfezione; tende alla perfezione, al duraturo; è la dimostrazione di una continua tensione…
    • Il gioco e il divertimento: esigenza di evasione, di felicità, di infiniti, di trascendenza insomma.
    • La fenomenologia religiosa: trascendenza di tutti i tempi
  • Metafisica dell'uomo o autotrascendenza. Ci porta pian piano alla esperienza di Dio. Quanto detto sopra ci porta ad un ontologico rapporto con Dio che si scava proprio alle radici della nostra esistenza. Se tutto ciò è quanto la filosofia dice dell'uomo allora noi dobbiamo fare questa esperienza. Dobbiamo meditarle ad una ad una; dobbiamo lasciar emergere questa originaria realtà dello spirito: esigenza di trascendenza che si traduce nel silenzio, nell'angoscia, nell'indicibile anelito alla verità, all'amore, alla comunione con Dio. Lasciamo venire a galla queste esperienze di fondo dell'uomo e allora solo scopriremo .. non un Dio giocattolo, oggetto, parafulmine.. ma l'Infinito: nasce la profonda religiosità! Questo è importantissimo! La religiosità vera, autentica, non formalistica, folcloristica, ecc.! I profeti!! I salmi!!
(i materialisti tradizionalisti: niente trascendenza. Marxisti più recenti vedono nell'uomo questa trascendenza. Garaudy: coscienza dell'incompiutezza dell'uomo, la dimensione dell'infinito: è la creazione dell'uomo da parte dell'uomo, all'infinito..!? Risposta di Buddha! Marcuse: proiettarsi verso un futuro migliore. Bloch: spazio utopico. Un trascendere senza trascendenza. Pensatori cattolici: trascendenza orizzontale e verticale (Dio).
Profonda religiosità dicevamo: là dove un uomo piange apparentemente senza speranza, dove egli viene emarginato e sa che nulla di quanto egli conosce o aspetta può ricompensarlo della sua pazienza, del suo silenzio, del suo perdono; dove un uomo si trova in quella suprema solitudine che nessuno può colmare: là Dio è presente! Dove un uomo fa l'esperienza di essere strappato a se stesso; dove per l'amore alla verità tocca i confini con l'Assoluto, di ciò di cui non si può dir nulla perché è la realtà portante e non portata dell'Assoluto nascosto: là Dio è presente. Dove un uomo prova una gioia di cui non conosce né l'inizio né la fine; dove si sente coinvolto in un gesto di suprema fedeltà: là Dio è presente. Tutto ciò che noi potremo dire di Dio è solo allusione a questa necessaria esperienza di Dio che fonda il nostro essere e sentire religioso. Tutto ciò ci porta a scoprire un Dio “infinitamente Altro” che non può essere circoscritto, definito, devozionato… .. è mistero! E di questo fantastico mistero noi siamo “creature”. Anche questa esperienza, scoperta porta e fonda il nostro essere religioso. Prendere coscienza che è creatore come tutto cambia aspetto, noi, natura, cose! Il travaglio dei popoli, la morte, il pianto di un bimbo, il silenzio profondo di una cattedrale: come appare meschina la mia devozione fatta solo di esteriorità o di una candela accesa! “Creatura”: questo termine, se non vogliamo falsarlo, dobbiamo sentirlo applicato a noi personalmente. Sì, ci sono tante creature, ma io, fatto grandioso e terribile che metto in solitudine di fronte a Dio, sono unico e irripetibile. Così mi ha guardato, pensato, fatto: irrepetibile. Non dobbiamo perderci nell'anonimato: Dio ha voluto proprio me con questi desideri ed esigenze. Allora quando la paura o la vertigine mi prende l'unico che può comprendermi e guarirmi è solo Dio. È Lui il mio creatore. Non ce ne sono altri! Sono stato voluto e sono voluto, qui, ora! Qui si trova il fondamento della religiosità, della umiltà, della preghiera, del dialogo. Noi dunque siamo fondati in Dio, nell'abisso dell'Assoluto, nell'abisso della libertà di Dio. Nell'accettazione di questa realtà coi siamo ciò che dobbiamo essere. Se dalla fenomenologia abbiamo scoperto qualcosa della ontologia dell'uomo, a questo punto nasce spontanea la domanda sul perché, sul fine di tutto questo.
 
 
 
II.
 
La considerazione del fine è la prima cosa da farsi nello studio di una qualsiasi realtà dinamica. Poiché l'esperienza religiosa e la vita cristiana sono essenzialmente dinamiche, è innanzitutto necessario sapere dove siamo incamminati, qual è il fine che vogliamo raggiungere. In S. Ignazio tutto ciò viene posto con i termini: “principio e fondamento” che sviluppa in quattro punti distinti:
  • fine dell'uomo;
  • uso delle creature;
  • necessità della indifferenza
  • scelta dei mezzi migliori.
Per meglio entrare in questa problematica potremmo leggere il passo della Gaudium et Spes n. 9-10 e il n. 41. S. Ignazio: “L'uomo creato è per lodare Dio”. S. Tommaso afferma che vi sono due lodi: una gloria intrinseca e una estrinseca. La gloria intrinseca è ciò che Dio ha per virtù propria: è una tale gloria infinita e perfetta che nessuna creatura intelligente e tutto l'universo non sono in grado di aggiungere nulla. Dio è infinitamente beato in se stesso e non ha bisogno di alcuno; ma è amore e l'amore per sua natura è comunicativo: ecco il motivo della creazione. Dio volle comunicare le sue infinite perfezioni alle creature per la sua gloria estrinseca. La ragione ultima della creazione: le creature in glorificazione di Dio e in ciò la loro libertà e pienezza. Salmo 150. Anche filosoficamente è chiaro: ogni essere intelligente agisce per un fine. Dio intelligentissimo: un fine. In Dio attributi ed essenza si identificano allora se Dio avesse creato per un fine distinto da se stesso avrebbe subordinato questa azione a tale fine (poiché ogni persona che agisce pone l'azione al servizio del fine che si è proposto agendo) e con l'azione avrebbe subordinato se stesso, dal momento che la sua azione è egli stesso. Tale fine sarebbe superiore a Dio. È quindi assolutamente impossibile che Dio, quando opera, ricerchi un fine distinto da se stesso. Dio ha creato tutte le cose per la sua gloria; tutto esiste se non in Lui e per Lui. Questo non è egoismo trascendentale.. poteva vivere senza… ma il colmo della generosità e del disinteresse. Non cercò la propria utilità: (quale creatura avrebbe potuto aggiungere…) ma comunicare la sua bontà. Solo Dio è infinitamente libero, afferma S. Tommaso, perché non agisce per indigenza ma solo gratuitamente e per bontà; per comunicare la felicità e l'essere nella vita. Allora: il ragionamento si fa stringato: l'ontologia, la fenomenologia antropologica, le affermazioni filosofiche: o per Dio o il caos! Non possiamo sfuggire: o camminiamo verso la sua gloria o verso il nulla: nessuna risposta: solo materia inerte. La S. Scrittura è piena di espressioni nelle quali Dio reclama per sé la sua gloria: Is. 48,8; Is. 48,11-12; Ap. 1,8. La gloria di Dio? Ecco l'alfa e l'omega, il principio e la fine di tutta la creazione. La stessa incarnazione del Verbo e la redenzione non si propongono altro che la gloria di Dio “quando poi sono stato sottoposte a Lui tutte le cose allora anche lo stesso Figlio sarà sottoposto a quello che sottopose a Lui tutte le cose affinché sia Dio tutto in tutti” 1Cor. 15,28. Paolo ci esorta a non fare un solo passo che non sia per la sua gloria: “Sia che mangiate…” 1Cor. 10,31. Ef. 1,45. Tutto deve essere subordinato a questo scopo. L'anima stessa non deve procurare la propria salvezza o santificazione se non in quanto glorificherà maggiormente Dio. Il desiderio della salvezza e della santificazione è il mezzo più opportuno per glorificare Dio. S. Ignazio: “ad maiorem Dei gloriam”. Sempre, in ogni cosa, in ogni avvenimento, in ogni attività intellettiva, immaginativa, volitiva. Nelle intenzioni (rettifica) e nelle azioni; in quello che si pensa, si dice, si decide, si spera tutto e sempre per la maggior gloria del Signore.
  • La sua gloria è narrata nei cieli: (Sal 19,2);
  • dalla moltitudine dell'esercito celeste: Lc. 2,13-14;
  • gloria a Dio…dai pastori dopo aver contemplato: Lc. 2,20;
  • da uno dei dieci lebbrosi: Lc. 17,15;
  • dalla Chiesa di Giudea per Paolo: Gal 1,24;
  • in tutti coloro che, vedendo le nostre opere buone glorificheranno Dio che è nei cieli: Mt. 5,16.
E in che cosa consiste questa gloria: è ancora Ignazio:.. “è Dio che mi dà la capacità di pregare, mi fa sentire l'esigenza di servirlo” è riconoscere che tutto è dono suo.
  • Cantico del Magnificat: Lc 1,46-55
  • Cantico di Zaccaria: riconoscenza
La lode quindi è un fatto di conoscenza e riconoscenza; è un sentimento di continua e viva gratitudine: è vivere in un continuo sentimento o realtà religiosa. Avere una mentalità religiosa e operare di conseguenza, testimoniare - “mi sarete testimoni”- contro tutte le obbiezioni che potrebbero sorgere di obbligatorietà, dispotismo, autoritarismo, la Gaudium et Spes insegna: “La Chiesa crede… e a partecipare della sua stessa felicità” (n. 21).
 
 
III.
 
Quanto sopra è stato affermato conduce inevitabilmente a delle serie conclusioni che ci devono coinvolgere: Ignazio afferma:”Per questo è necessario che ci rendiamo indifferenti davanti a tutte le cose create, in tutto ciò che non è proibito ma lasciato alla libertà del nostro volere. E così non dobbiamo desiderare da parte nostra salute più che malattia, ricchezza più che povertà, onore più che disonore, vita lunga invece che breve e similmente in tutte le altre cose. Dobbiamo anelare ad eleggere unicamente ciò che più ci conduce al fine per il quale siamo creati”. Innanzitutto interpretiamo i termine indifferenza: cercate innanzitutto il Regno significa essere distaccati da tutto ma addentro al tutto perché questo tutto aiuti al raggiungimento del fine. Significa che nessun strumento o mezzo possa essere o diventare un assoluto; vuol dire essere liberi di… da… per..; significa, in definitiva, essere “poveri in spirito”. Appare dunque la indifferenza, la povertà di spirito come la necessaria struttura di fondo dell'essere spirituale del nostro essere religioso. Se la finalità è quella e non riusciamo a rimanere indifferenti verso le cose o persone (nella povertà di spirito) indifferenti nel giusto senso (non superficiali, menefreghisti ecc.) finiremmo con il dare troppa importanza, farli diventare degli assoluti e, quindi, perdere la strada. Come nel fidan., matrimonio: se non si diventa indifferenti verso altri uomini o donne, è l'inizio di una catastrofe. Se tutta la descrizione dell'ontologia dell'uomo, se ci fermiamo al superficiale, se non diventiamo indifferenti al superficiale, se non siamo poveri in spirito invano ricercheremmo la dimensione religiosa. Dunque l'indifferenza come struttura di fondo dell'essere spirituale. Ma è necessario conquistarla! Nostro compito è quello di raggiungere questa indifferenza costitutiva o povertà di spirito. Se rettamente inteso tutto ciò diventa pista di esame e scontro vivace con tutta la impostazione della nostra esistenza. È infatti qui che noi ci inganniamo, inganniamo gli altri e diveniamo contro-testimonianza. A parole… tutto… a fatti facciamo altre scelte. Conquistare l'indifferenza vuol dire a fatti dimostrare l'impegno, la disponibilità, il servizio… il dono della nostra vita. Cosa significa questa conquista? Anzitutto in tutto ciò che sperimentiamo, soffriamo, amiamo, dobbiamo affermare, accogliere e portare a compimento l'apertura e la disponibilità verso una realtà più grande. In altre parole sapere ciò che viene prima per ordinare tutto ciò che viene dopo secondo quel “prima”. Aperti alla trascendenza, tendere a quella in tutte le circostanze senza stancarci, sederci (nello studio, lavoro, amicizia, gioco, radio ecc.) concretamente, realisticamente nella piccola gioiosa o amara quotidianità della nostra esistenza. Tutto ciò non è facile. Ci lasciamo assorbire, tentare dalla realtà singola (che cosa hai fatto in questi giorni? […giornate…] di Moro…Sì? Ma domani ho un esame!) (quando c'è la telev. O il freddo: ma avevamo un incontro importante! non ho potuto..!) sono realtà singole che diventano idoli, diventano divinità della nostra esistenza; non ci lasciamo più smuovere dal posto in cui ci siamo installati, dalle abitudini… dal gruppo… dai propri programmi (in politica oppure per un pomeriggio di domenica, oppure per una vacanza insieme…); diventiamo piccoli borghesi, autosufficiente (chi mi obbliga ad andare… a fare… si arrangino… mi hanno stancato… sto bene a casa mia…) e allora le inezie della nostra esistenza normale diventano realtà normali, importanti, gravi (quanti pettegolezzi, non me l'avete detto… ho già deciso diversamente..); non sappiamo rinunciare a nulla, non sappiamo riconoscere il piccolo come piccolo e il passeggero come passeggero! (Guai se dicono qualcosa contro di noi… se ci criticano… importanza dell'ultima stanza lucidata e spolverata… che cosa potranno dire gli altri…) grettezza e chiusura ad ogni spiraglio autentico di vita, di vita spirituale, di serenità. Prima c'è Dio, il prossimo come Dio, la sua volontà: provare ad assumere questa categoria di pensiero e di scelta significa sperimentare subito una misteriosa resistenza (si tratta di cambiare rotta, è duro…) e il cui superamento significa dolore, quasi un sentimento di morte per la persona. È la realtà del mistero della fede da una parte, e il mistero della colpa, del peccato, dell'egoismo dall'altra! Da una parte la volontà di buttarci in Dio, di fare la scelta radicale; dall'altra il dimenticarci, vincere in continuità l'egoismo; questa seconda realtà trova dentro di noi un radicale avversario. È una lotta dura, continua, con una protesta continua del nostro essere (solo un gelato… lascia che prima vada a salutare mio padre…); è infatti un compito che ha il sapore della rinuncia, del sacrificio, della morte. È però liberazione! Questo sacrificio che è la conquista della libertà è in piena sintonia con la Parola fatta carne. La gloria del Padre attraverso la kenosi fino alla morte reale. L'indifferenza ci accomuna a Cristo, è il salto e rischio della fede e ci stabilisce sull'abisso di Dio che ci ridà tutto il finito ma nella sua luce. Porta stretta - Gerusalemme…! Questa lotta per l'indifferenza è un impegno quotidiano: non si è mai, lo si diviene sempre. Ogni giorno della nostra odissea gli impegni, gli incontri, le proposte sono diverse e tutto ciò va continuamente trasceso. Questo è un impegno sempre nuovo; è il “ogni giorno muoio per essere con Cristo”. Questa lotta è la grandezza del nostro essere. Dio si rende sempre più sperimentabile a noi quanto più è profonda l'indifferenza! Ignazio parla di tre dimensioni dell'indifferenza:
  • la corporalità: salute o malattia: Dio vede, sa tutto e in Lui tutto […collodiamo…];
  • l'autoaffermazione personale: di fronte ai valori sociali: potere, ricchezza, casa bella, laurea, onore, ricchezza, povertà, raggiungimento di quel posto: lotta terribile per raggiungere l'indifferenza;
  • la totalità dell'esistenza: vita lunga o vita breve. Come piace a Dio impegnati totalmente oggi. Ma realmente! Ci sono persone che affermano la loro indifferenza: ma poi guardate a quante cose inutili, futili, passeggere si attaccano. E sono allora traumi di inferiorità, illusioni ecc… Come queste ci appaiono così siamo noi di fronte a loro!
L'indifferenza è un compito paziente e faticoso, un lavoro duro che ovunque devo fare (in famiglia, a scuola, in politica, all'università, mentre studio, con gli amici…) non è mai un gesto eroico di cui molti possano accorgersene, ma è una disponibilità silenziosa, un abbandono sorridente, mite, che non si prende troppo sul serio, che avviene con semplicità, con naturalezza. Sembra tutto facile! Ma proviamo ad individuare nella nostra esistenza il punto in cui l'indifferenza diventa pesante, diventa problema. Non grandi cose… nelle piccole: in famiglia, puntualità, servizio, sorriso, mitezza, impegno… e tutto questo non per viltà, incapacità… ma come conquista. In tutto ciò che abbiamo detto c'è abbastanza da interrogarci, esaminarci, pregare, chiarire, raddrizzare!
 
 
IV.
 
Alla meditazione sviluppata sul piano filosofico, ascetico e mistico, a questa meditazione che ci portava come conseguenza alla indifferenza, il distacco, alla povertà di spirito, la Rivelazione viene in aiuto presentandoci il comportamento e il volto del Padre. Non è il nostro un Dio ignoto verso il quale dobbiamo la lode e la applicazione induista e buddista della indifferenza, ma un Padre che ci chiama per nome. La rivelazione del Padre è il fondamento del nostro cammino di poveri in Spirito per essere in Lui e a Lui piacere in tutto.
Dio vivente… Padre! Così Dio innanzitutto si rivela . il termine “Padre” dice: generatore, conservatore, educatore amorevole e fermo tutto dedito al vero bene della sua prole.
Nell'A.T. la rivelazione e la presa di coscienza della Paternità è avvenuta in primo luogo con la nazione e solo secondariamente con i singoli individui. Di Israele come nazione è Dio stesso che si proclama Padre: “Figlio mio, mio primogenito è Israele” (Es. 4,22) leggere Osea 11,1-4. Dio dunque ha generato Israele (Dt. 32,6) l'ha sorretto, come un figlio piccolino durante l'esodo (Dt. 1,31), ma non gli ha risparmiato la necessaria correzione (Dt. 8,5). Perciò Israele si rivolge di frequente a Dio come a suo Padre “Tu sei nostro Padre! Leggere Is. 63,16-64,8; Ger. 3,4.19; Sap. 2,16; Sir.23,1.
Quanto più i secoli si avvicinano a Gesù Cristo i passi si fanno più espliciti: “O Signore, Tu sei mio Padre” Sir 51,10. Gli empi dicono del giusto che egli vanti per Padre Iddio Sap. 2,16. Va pure ricordato che Dio promise di far da Padre in modo tutto speciale ai discendenti della linea davidica regia (2 Sam. 7,14; Sal 89,27).
Nel N.T. sta a sé la Paternità di Dio rispetto a Gesù Cristo “Padre mio..”. Ma Gesù, nella sua predicazione terrena ha fatto di questo concetto il centro della sua dottrina estendendolo a tutta l'umanità (Mt. 5,45). Era la immediata conseguenza dell'Incarnazione e della Redenzione: se ciascuno dei redenti forma con Cristo un'unica realtà mistica, quale intercorre tra il capo e le membra, tra la vite e i tralci, ogni redento, a qualsiasi razza appartenga, diventa figlio adottivo di Dio e partecipa della divina natura.
Conseguenze: Figlio in Gesù Cristo non deve più affannarsi per il cibo e il vestito avendo un Padre in cielo ( recuperiamo l'indifferenza per le cose essenziali) (Mt. 6,26-34); potrà tutto chiedere con fiducia a un tale Padre (Mt.7,11) certo che il Padre lo ama (Gv. 16,20) lo attende (figliol prodigo) lo cerca (dramma, pecorella…) gioisce per il ritorno…; è il punto di paragone per la perfezione… il fine e la fine di tutto: fiat.” In manus tuas Domine commendo spiritum meum”. Un Padre che vuole la nostra salvezza a tutti i costi (sacrifica Gesù!) e ha cura anche di un solo capello del nostro capo (Mt. 10,29). Questa formidabile rivelazione è ricordata con insistenza negli scritti apostolici: 1Ts. 1,3; 3,11-13; 2 Ts. 1,1; 1Cor. 1,3; 2Cor. 1,2; Gal. 1,3-4; Rm. 1,7; 1Pt. 1,17; ecc… Anzi si arriva in quel tempo a parlare di Dio solo con il termine di Padre, [sac.] 1,27; 3,9; 1Gv. 2,15; 3,1; 2Gv. 4.
Dalla rivelazione nasce dunque l'orientamento e il confronto nel fare tutto per la maggior gloria del Padre: “sia glorificato il tuo nome”; e per tale finalità raggiungere con forza e lotta la povertà di spirito, il distacco, la indifferenza. Da tutti i motivi sopra accennati nascono molteplici doveri dei figli: eseguire la volontà (Mt. 7,21); impegnarsi e cooperare alla realizzazione del suo Regno amando e perdonando tutti i fratelli perché figli.. Mt. 6,9-12.
 
 
Come esercizio alla fine di questa meditazione cerca di vivere la storia della tua personale salvezza ed avere con il Padre, verso il quale… un profondo colloquio sulla misericordia.
In sintesi:
  • fenomenologia e antropologia ontologic. Dell'uomo;
  • il fine è la gloria;
  • in che consiste questa gloria: Magnificat, Benedictus;
  • la indifferenza;
  • questo Dio per cui e da cui… è Padre;
  • doveri dei figli.