Li ammaestrava dicendo…(Mt. 5,1-3)
Gesù inizia la sua scuola e insegna ai suoi discepoli iniziando dalla beatitudine della povertà. Matteo dà un significato ampio al termine poveri, significato dedotto da Sofonia 2,3:”Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l'umiltà, per trovarvi al riparo nel giorno dell'ira del Signore”. Sono gli anawin, i poveri di Dio; sono i piccoli del Regno che hanno fatto esultare di gioia Gesù perché il perché  ha rivelato loro il suo mistero (Mt.11,25);  sono gli anawin, come Maria, che loda il Signore perché ha guardato l'umiltà della sua serva e ha rovesciato i potenti dai troni per innalzare gli anawin. Sono coloro che sono discepoli del Signore il quale “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventiate ricchi per mezzo della sua libertà”. Poveri, umili, meschini: termini non incoraggianti. Ci sarebbe motivo per fare una campagna promozionale per cancellare una simile povertà. E invece Gesù afferma: “Beati i poveri in spirito, vostro è il Regno”. Gesù ammaestrava i discepoli che si era scelto perché stessero con Lui per imparare ad essere poveri, ad avere l'anima del povero, come Lui. E' tutta una vita da imparare. Sul modello di Cristo tentiamo di essere poveri, sviluppando alcuni temi che dovrebbero aiutarci in questo cammino.
1) Come Gesù Cristo, è necessario essere poveri nei confronti con il Padre, nell'accettare pienamente la sua volontà. E' quanto viene affermato nella lettera agli Ebrei: esiste un impegno di vita legato alla volontà del Padre: “entrando nel mondo Cristo dice… ecco io vengo per fare la tua volontà”. Eb. 10,5. Anche quando fare la volontà del Padre costa “forti grida e lacrime” per imporre l'obbedienza dalle cose che patì. Eb.5,7. E' la base della povertà dell'anawin, del povero di Dio, di colui che esegue gli ordini di Dio, di colui che si fida di Dio, che spera in Lui, che accetta il misterioso disegno di Dio sopra la propria vita. “Etiam si occiderit me, in ipso sperabo” Giobbe 13,15. Cristo lo ha vissuto fino alla solitudine della croce, senza riscontri, nel fare la Sua volontà. Per noi è diverso: il nostro sperare in Dio significa sperare anche nel suo aiuto, anche compiere il nostro progetto. A noi manca la fede, la speranza adulta! E quando non risponde al nostro progetto rimaniamo spaventati di fronte al suo silenzio:”Svegliati, perché dormi Signore? Destati, non ci respingere per sempre. Perché nascondi il tuo volto? Sal.44,24.  E' la povertà più povera che esista, che fa soffrire dentro”, ti senti abbandonato, finito, e che fa sì che Gesù giunga a chiedere un' ora di veglia con Lui. Solo nell'aldilà, davanti al trono di Dio si conosceranno i perché che oggi ci inquietano. Ma beati coloro che oggi si fidano di Dio, sono poveri davanti a Lui, sono capaci di lasciarsi istruire, formare, dal silenzio di Dio. Sono i veri poveri. E beati se, nella prova, si troverà qualcuno capace di vegliare con te. Qualcuno che ti sia di conforto.
2) Come Cristo, povero di fronte alla famiglia.
Lc. 2,41 Ragazzo dodicenne proclama la priorità delle “cose del Padre” sugli affetti familiari, nonostante il costo di paura e di solitudine di un ragazzo rimasto solo in Gerusalemme e nonostante il costo di dolore e di angoscia di “tuo padre ed io”.
Lc. 4,29 Permette che a Nazareth fosse posta in pericolo la sua stessa vita quando “lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero sul ciglio del precipizio per gettarlo giù”. E a Nazareth c'era la sua madre che avrà seguito, con trepidazione e poi con angoscia, i fatti della sinagoga, culminati nei propositi suicidi della sua gente. Anche qui la priorità di Dio sugli affetti. Fino al Calvario quando Gesù consegnerà la Madre al discepolo per essere totalmente nelle “cose del Padre”. “Donna ecco tuo figlio”. Gesù non chiede certamente la durezza del cuore o aridità di affetti: vi sono precise responsabilità. Chiede la priorità di Dio, chiede ai discepoli che il suo Nome e il Vangelo vengano prima della casa, della famiglia, degli stessi affetti familiari. Cristo ha lasciato anche la Madre, rimasta sola per la morte di Giuseppe, per annunciare il Regno. E disse a tutti: “chi ama il padre e la madre, fratello, sposa, figli ecc. più di me, non è degno di me” Mt. 10,37. Esiste sempre una priorità di Cristo e del Regno: può essere un'affermazione dura e non sempre traducibile in comportamenti, ma è stata detta! Ed è scritta! Ed è di Dio!
3) Come Cristo, povero, nei confronti di una propria famiglia.
Cristo non solo chiede ai suoi di lasciare tutto per Lui e per il Vangelo, ma rimane celibe, anche Lui solo, staccato da ogni affetto anche buono, per testimoniare l'appartenenza non a se stesso, ma al Regno di Dio e la disponibilità massima ai fratelli. E' l'eunuchia per il Regno! Mt 19,12. ed è vera povertà; è rinuncia ad affrontare la vita a due con quanto di tenerezza, sicurezza, amore comporta; è rinuncia alla posterità, ad essere genitore, alla gioia della paternità, maternità fisica. E' certo un mistero e un dono grande, ma è pure una testimonianza grande che nasce nel cuore del povero! E' un dono, un carisma, un dono dello Spirito che fa conformi a Cristo. Solo se avremo fatto spazio a Dio, se ci saremo resi veramente poveri, incomincerà ad essere possibile il dono della verginità, castità.
Qualcuno potrebbe obiettare: ma noi che cosa centriamo con questa povertà? Questa è per chi ha una vocazione speciale! È vero! Ma non è detto che qualcuno non possa sentirsi oggi chiamato a tanto. La mia vita vuol essere solo di Dio e dei fratelli. Povertà radicale di affetti e di esercizio della sessualità. Ma c'è un'età in cui tutti veniamo chiamati alla verginità e sarebbe un vero peccato non sfruttarlo in questa luce. Poveri dell'affetto di una persona per potersi dedicare a tutti. La mia vita per tutti. Ma c'è poi la grande virtù della castità. Sesto e nono comandamento che deve essere vissuto all'interno: ”se tu guardi una donna…”. La povertà nel poter usare del nostro corpo; povertà nella castità: alcune volte è martirio. Povertà nella castità per testimoniare il Regno. La vera povertà non può se non esprimersi nella castità. Pure castità matrimoniale: è il privarmi di usare il mio corpo come il corpo dell'altro secondo le mie esigenze. E questa è povertà. C'è tutto un cammino ascetico per arrivare a tanto. È il renderci poveri nei pensieri non puri, nella moda per me e per gli altri, il privarmi di apparire con quella moda! Di spettacoli, di parole, di carezze, di affettività. Quanta povertà è continuo martirio, ma è testimonianza vera!
4) Come Cristo povero nei confronti degli uomini.
Gesù si sente di essere l'inviato del Padre. Uno che non ha un suo programma ma quello del Padre: la salvezza di tutti. Interpreta ogni attimo della sua vita pubblica non per scelte personali ma per servire. Ovunque serve. Povero di affetti: per servire senza badare al tempo, ecc. Povero di tempo: non ha tempo per sé…anche di notte. Povero di mezzi: di cibo, di casa, di mezzi… Ovunque si mette al servizio: lebbrosi, paralitici, peccatrici, bimbi, dottori della legge, apostoli! Interpreta la vita come servizio ma fino a dare la propria esistenza. Non si limita a dirlo: chi dona la propria vita… chicco di frumento, ma la dona realmente. È tutta la vita che si conclude con la passione. Veramente lava i piedi agli apostoli. È il suo stile ed è Lui che afferma di non dominare, ma di servire e di preferire l'ultimo posto. Servire è vera povertà, dunque! Però esiste una seconda povertà nei confronti degli uomini: accettare la volontà dell'altro nell'obbedienza! Ed è una dura e reale povertà. Anzi è la dimostrazione della povertà autentica l'obbedienza all'altro, all'autorità, alla parola, alla comunità: virtù difficile e pesante. L'obbedienza all'esperienza del diverso! alla malattia, all'imprevisto. “Come vuole il Signore”. L'obbedienza naturale familiare: dovrebbe essere l'accettazione dell'aiuto dei genitori, di coloro che possono e vogliono aiutare a crescere. L'obbedienza cristiana nasce dal Battesimo: è l'obbedienza a diventare ciò che si è! È l'obbedienza precisa e sicura alla Parola. L'obbedienza poi alla Chiesa, per essere membro attivo nel corpo del Signore per la crescita nella carità. Ma quanta contestazione e quanta ribellione in questo campo. Oppure quanto individualismo! È neo protestantesimo! L'obbedienza poi ecclesiale comunitaria che stimo molto più importante ciò che unisce piuttosto che ciò che ci divide. Obbedienza all'autorità: quale povertà importa! Certamente quando tutto va bene, la comunità e l'autorità fanno ciò che io attendo ed è secondo i primi piani allora l'obbedienza è facile, mi sento virtuoso, ma viene anche il momento dell'obbedienza a ciò che è a me contrario, di non gradimento, di non programmato! Non un'obbedienza programmata, non l'unica strada praticabile, non per paura o perché si è pecoroni, ma l'obbedienza del povero, cioè obbedienza semplicemente. È l'obbedienza dell'Eucaristia… per fare o Signore la Tua volontà.
5) Come Cristo povero nei confronti dei beni.
L'esempio di Cristo è scioccante e sbalorditivo. Oggi per noi. L'aumentata ricchezza e la crescita del tenore di vita ha portato benessere anche in tutte le nostre case. Non c'è persona che si sposa che non disponga di tutto. Non è nemmeno ipotizzabile un confronto con i nostri nonni quando si sposarono! In questo clima è diventato difficile per ogni discepolo del Signore avere l'anima del povero. Siamo dentro la civiltà dello sciupio con tutto il desiderio di consumare e di lapidare in fretta quanto il Signore ha dato in ricchezza per tutti. E tutto ciò ha messo in crisi, in difficoltà la fede. Il denaro e l'attaccamento al denaro (con ciò che rappresenta…) con il suo sfrenato desiderio di provare tutto, di avere tutto sta distruggendo la radice della fede. E qui il discorso si fa difficile. Il problema che si presenta è quale lettura è possibile, oggi, del fatto di Gesù che manda i discepoli a sanare le povertà spirituali del suo popolo e a predicare il Regno vicino e che pur per non dare loro il denaro, dà il potere di compiere miracoli: ma fate tutto gratuitamente. Per questo non portate né oro né argento, o rame; niente sacca da viaggio e nemmeno due vestiti né sandali e nemmeno il bastone: vi accompagni solo il diritto al nutrimento. Mt 10,5.
Viene da chiedersi se si tratta ancora di versetti del Vangelo letto nella Chiesa o di un Vangelo smarrito. Nell'Europa mercantile del XIII secolo Francesco scopre e afferma che la povertà è figlia di Dio. E' stata una scossa potente che ha fatto i santi e anche gli eretici per la frequente intemperanza nell'applicare un impossibile test di verifica della povertà. Ma qualcosa di grandioso venne scoperto dalla Chiesa. E oggi? Ancora c'è da chiedersi se Gesù possa oggi ritrovare nella sua Chiesa le istruzioni che aveva dato ai suoi discepoli quando li mandò in missione.
E' certo non misurabile la povertà esteriore - fino qui! - ma è certo che la povertà interiore che non genera povertà anche esteriore è almeno sospettabile. Al di là di questa osservazione una nota è degna di meditazione sulla povertà verso gli uomini: ognuno si trova a proprio agio. Ogni povertà non ha vergogna nella nostra casa. Ogni povertà riesce a trovarsi bene ma ci si sente emarginati o umiliati. E sarebbe già una gran cosa sapendo che ogni povertà è sacramento di Dio. Se si trova bene è perché hai fatto spazio a Dio in te. E' la bontà della povertà