Esercizi Spirituali 1991
Urgenza dell'ascolto della Parola
Iniziamo ad ascoltarla
1) La Parola di Dio
Signore Gesù Tu sei l'unica Parola del Padre. Chi vuole venire a Te deve necessariamente passare attraverso Te. Sei Tu che il Padre ha invitato ad ascoltare. Come Maria, sorella di Marta, ci mettiamo ai tuoi piedi in ascolto. Sei Tu che hai lodato l'ascolto di Maria che ha scelto, proprio per questo, la parte migliore.
Tu hai dato la Tua Parola perché fosse fonte di gioia “Vi ho detto queste cose … perché la mia gioia …” in noi; perché in noi germogliasse la vita, perché giungesse a trasformare ciascuno di noi, perché ci facesse finalmente liberi. Tu ti sei fatto Parola, Parola che in Maria Santissima si è trasformata in carne. In Te dunque è la sintesi di tutta la Parola, la Rivelazione, “Et Verbum caro factum est”. Tutta la divina Rivelazione è diventata viva, incarnata, esplicita, impegnata in Te, Cristo Signore. Possiamo dire che tutta la Rivelazione dell'Antico Testamento si è transustanziata in Te. Tutta la Parola è diventata esplicita in Te. E' diventata carne, uomo, modello, via, verità, vita, luce, lampada, in Te. Ma tutto questo è pure indicativo per noi. Tutto questo è grande indicazione di metodo e di sostanza per tutti noi e per la nostra salvezza. La Parola che ascoltiamo deve essere talmente vissuta, interiorizzata da diventare carne, un tutt'uno con noi, deve transustanziarci, deve trasformarci in Cristo.
L'invito ad ascoltare la Parola è il più continuo ed insistente invito che Dio abbia mai fatto in tutta l'ispirazione scritta e orale. Gesù stesso poi ne fa motivo della sua più grande beatitudine attribuita a chi ascolta la Parola e la custodisce nel cuore.
Questa prima parte del nostro corso di esercizi spirituali vuole essere una grande sottolineatura dell'importanza dell'ascolto; un prendere coscienza che il primo invito che ci fa Rivelazione è proprio quello dell'ascolto; un prendere coscienza che il nostro essere cristiani, la nostra salvezza si gioca innanzitutto sull'ascolto. “Ascolta Israele” è l'insistente espressione che ritorna frequentemente nelle pagine sacre. Non c'è nulla di più importante dell'ascolto. Dall'ascolto nasce la risposta obedienziale della fede. Possiamo chiederci: chi sono i veri discepoli del Signore, quelli amati, quelli che diventano come Lui? “Quelli che ascoltano … e la custodiscono”. Sono madre, padre ecc. Si osserva che i discepoli del Signore erano quelli che stavano con Lui. Ma oggi come è possibile dopo 2000 anni? Se ascoltiamo, se sperimentiamo la sua voce … oggi! È nell'ascolto della sua Parola che si vincono tutte le battaglie e si rimane saldi in ogni bufera.
Per convincerci dell'importanza capitale dell'ascolto iniziamo con l'approfondimento di qualche passo scritturistico.
Deut. 4-5-6 soprattutto; intanto c'è da dire che il termine Scemà Israel, in questo libro ritorna per circa 80 volte. Sono questi capitoli del Deut. che ci offrono delle indicazioni estremamente profonde e suggestive per una teologia biblica dell'ascolto. Nell'economia di tutto il libro questa insistenza vuol essere una preparazione ad ascoltare proficuamente tutta la legge che poi esporrà. Così è nel Vangelo di Luca ove la parabola del Samaritano è posta quasi all'inizio del mistero pubblico di Gesù, per predisporre all'ascolto della Sua Parola. “Ascolta Israele”: non si tratta di un ascolto personale o privato ma ecclesiale, liturgico a cui è chiamato tutto il popolo. All'inizio del capitolo 4 questa formula riceve un'importante connotazione: cioè le antiche parole della legge vengono attualizzate “nell'oggi”, nell'ora della vita del popolo. “Ed ora, Israele, ascolta i decreti e le leggi che [……….]”. Tutto questo è molto importante per noi, per la nostra meditazione, perché ogni Parola rivela valore oggi! Quindi è sempre nuova ogni giorno e ogni qual volta viene proclamata è sempre come se fosse la prima volta che viene udita: “Il Signore non ha stabilito questa alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi” Deut. 5,3. È scioccante tutto ciò! È straordinario!
Ogni volta dunque che ascoltiamo non sono ricordi storici ma è legge per oggi. Ogni volta che si proclama la Torah si ripete in qualche modo l'evento originario prodottosi sul Sinai: “Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura, vi era soltanto una voce!” Deut. 4,12.
2) Dunque la Rivelazione di Dio sta nell'ascolto. Da questo evento fondamentale ed esemplare per ogni ascolto della Parola, l'insegnamento più importante che ne traiamo è il seguente: di Dio noi abbiamo una esperienza di ascolto, non di visione. È proprio in ragione anche di questo la proibizione di costruire immagini, Deut. 4,15 e 5,8ss. Jahvè non si è rivelato ad Israele facendogli vedere il suo volto ma facendogli udire la sua voce! Nessuna delle cosiddette visioni teologiche dell'Antico Testamento ha mai la pretesa di descriverci il volto di Dio. Lo si vede solo di spalle Es. 33,23 o solo dai piedi in giù Es. 24,10 oppure se ne intravede solo il lembo del vestito Es. 6,1; tutte espressioni figurate e forse anche sottilmente ironiche per affermare l'impossibilità della visione e quindi la rivelazione solo nell'ascolto!
Le conseguenze sul piano spirituale sono soprattutto due: la prima, l'ascolto richiede, non vedendo la persona che parla, una grande fiducia in colui che parla. Se la vedessimo tutto si semplificherebbe, ma l'ascoltiamo solo. Questo significa che la nostra esperienza spirituale viene posta sotto il rischio della fede. Credere solo per l'ascolto, senza vedere “Beati coloro che pur non vedendo crederanno”. Credere ciò e sperare nella realizzazione delle promesse del Signore, anche se oggi non siamo in grado di osservare la realizzazione. È un enorme fidarsi della Parola. Tutto ciò dovrebbe guarire il nostro desiderio di sicurezza: se lo vedessi! Ho bisogno di sicurezza! È la Parola il fondamento della fede. La seconda conseguenza è che l'ascolto, al contrario del vedere, cioè della visione, è sempre un'esperienza aperta che non può esaurirsi in se stessa ma richiede lo sforzo della risposta, richiede la realizzazione della parola udita. In tutta la Scrittura, quando Dio parla, raramente lo fa per dirci qualcosa di sé ma è per dire all'uomo che cosa lui deve fare.
La religione biblica è una religione dell'ascolto e non esiste ascolto senza risposta: nasce così la nostra responsabilità morale! L'idolo lo si contempla o lo si prega ma non fa nascere la risposta morale perché non parla. Non c'è ascolto nell'idolo. Il dio idolo che immaginiamo o preghiamo, è una alienazione della realtà (abbiamo soddisfatto un dovere con la Messa domenicale!) ma il Dio biblico che parla ci inchioda nelle nostre responsabilità, soprattutto verso i fratelli. Una adorazione che non porti, nell'ascolto, ad impegnarci “su noi” e verso i fratelli, nei confronti degli altri è preghiera [………] ed alienante. L'ascolto è un'esperienza aperta e senza limiti. “Se tu dici di amare Dio e poi non ami il fratello sei un bugiardo!”. “Chi non ama il proprio fratello che vede, è bugiardo quando dice di amare Dio che non vede”, Giov. 4,20.
Un'ottima pista di meditazione in Deut. 5 è il capire che l'ascolto vuol dire morire. Deut. 4,32ss - 5,26 - 5,25.
Muori nella carne per far vivere lo Spirito, è una transustanziazione. L'ascolto è per cambiare, è per morire, è per rinascere a nuova vita. “Se il chicco di frumento …”. Ascoltare e non morire a noi stessi, ai nostri progetti ecc. è perdere tempo, è prendere in giro il Signore. È chiuderci alla Grazia di Dio.
3) Ascolto = evento straordinario. Ascoltare la voce del Signore resta sempre un evento straordinario che sfugge al controllo umano e determina delle situazioni critiche di giudizio. Non si può rimanere neutrali di fronte alla Parola: essa crea in noi la conversione o si crea la chiusura del cuore. In questo contesto si deve capire la richiesta del popolo che ci siano dei mediatori autorizzati, rappresentanti della figura profetica e sacerdotale di Mosè che spieghino al popolo la Parola di Dio: “Avvicinati tu ad ascoltare quanto il Signore nostro dirà; poi ci riferirai tutto ciò che ti avrà detto il Signore … e lo ascolteremo e lo faremo” Deut. 5,27. È un avvertimento quanto mai opportuno anche oggi che vi siano dei mediatori della Parola per una interpretazione spirituale dei desideri di Dio. Un ascolto indisciplinato e occasionale, compiuto senza un'adeguata guida spirituale e senza il rigore richiesto da ogni ricerca seria, rischia assai facilmente di risultare un'esperienza negativa; una esperienza di vera morte anziché di vita.
4) Ascolto e prassi Deut. 5,27 - Es. 24,7.
Nel racconto di conclusione dell'alleanza sinaitica che si legge nel libro dell'esodo, dopo che Mosè ebbe messo per iscritto e riletto pubblicamente il documento dell'alleanza, ossia i dieci comandamenti, tutto il popolo rispose con una sola voce: "Tutto ciò che ha detto il Signore noi lo faremo e lo ascolteremo” Es. 24,7.
È una solenne dichiarazione collettiva di fedeltà all'alleanza e si esprime con le stesse parole di Deut. 5,27, riferite dopo la proclamazione del decalogo. In ambedue i casi ascoltare e fare la Parola vengono associati per dichiarare che l'impegno del popolo non deve limitarsi all'ascolto ma richiede una prassi corrispondente.
Ma in Es. 24,7 abbiamo una sorpresa: la prassi precede l'ascolto!
L'acuta intelligenza spirituale dell'esegesi giudaica di questo testo lo ha sempre considerato come un insegnamento capitale sulla vera obbedienza alla Torah. È da questo testo che è nato il racconto secondo cui Dio offrì la sua legge a tutti i popoli del mondo prima di Israele. Alla sua domanda se essi fossero disposti ad accoglierla, tutti risposero di volere prima conoscere ciò che vi era scritto per sapere se vi potessero impegnare. Soltanto Israele non pose a Dio alcuna condizione preliminare di conoscenza, non volle misurare in anticipo le proprie forze, accettò tutto il rischio di quel dono a caro prezzo e rispose: ”noi lo faremo”, ancor prima di conoscere e ascoltare.
Che cosa vuol dire tutto questo? Che la vera radice della obbedienza non si trova tanto nella conoscenza dei comandamenti ma nella fiducia, nell'amore verso colui chi ti parla e che sai che le sue parole sono per la nostra piena valorizzazione e libertà. Questo vuol dire ancora, per nostra meditazione, l'ascolto fatto per fare, l'ascolto fine a se stesso, la conoscenza per la conoscenza, non trasformano l'esistenza e non portano alla fedeltà e all'obbedienza alla sua Parola. Ci lascia intellettuali, non trasformati. Se è vero che solo l'ascolto della Parola di Dio rende possibile una prassi che le sia conforme, è altrettanto vero che solo se siamo impegnati in questa prassi ci è reso sempre nuovamente possibile l'ascolto. Dunque nella Scrittura noi troviamo sia l'invito ad ascoltare per fare, sia quello a fare per ascoltare. Mentre il primo sottolinea che l'ascolto deve orientare e comandare il nostro agire, il secondo ci ricorda che la prassi ci fa intendere meglio l'ascolto. La prassi diviene così la misura della verità dell'ascolto.
5) Ascolto e Amore Deut. 6.
All'inizio del cap. 6 del Deut. Si legge l'”Ascolta” per eccellenza, che è la confessio fidei di Israele in Jahvè e nello stesso tempo l'affermazione del comandamento più grande della legge, quello dell'amore di Dio, Deut. 6, 4-5 leggere. Questa duplice proclamazione costituisce pare uno dei punti focali su cui è costruita la preghiera sinagogale, dopo la distruzione del tempio. Nella recitazione quotidiana dello Shemà, ogni israelita si pone una mano davanti agli occhi per significare che il mistero di fede annunciato da queste grandi parole è un mistero accessibile all'ascolto e non alla visione; per dire a se stesso che deve fidarsi ciecamente della Parola di Dio e in questa deve trovare la sua fiducia e la sua prassi. Questo Shemà ci dice, in sintesi, che senza una fede assoluta nella unicità di Dio e senza un amore radicale per Lui, il nostro cuore rimane chiuso all'ascolto della sua voce. Il centro segreto, la chiave nascosta di tutta la teologia biblica dell'ascolto sta qui: il vero ascolto deve essere precisamente un ascolto fatto con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze. Non può essere se non così. È infatti Dio che parla e non un uomo qualunque: “badate a come ascoltate”. Amare Dio significa ascoltare la Parola. Ascoltare la Parola rettamente significa amare Dio!
Per cogliere tutta l'importanza di questo Shemà è bene riprendere le tre facoltà con cui dobbiamo amare Dio nell'interpretazione dei maestri rabbini del II sec. d.C.. Se si è già detto “con tutto il cuore”, che ragione c'è di aggiungere con tutta l'anima e la forza? I maestri rabbini dicono: “con tutta l'anima”, significa perfino se Egli ti strappa l'anima; cioè fino al martirio e alla morte. Con tutta la forza: “con tutti i tuoi beni”, c'è di che esaminarci: sono le esigenze dell'amore di Dio. Cioè devi amare Dio fino a dare i tuoi beni e la vita! La conclusione di quanto abbiamo detto può essere la seguente: è veramente capace di ascolto, di comprensione spirituale della Parola di Dio, solamente colui che ama il Signore e quindi, vive della sua Parola che incarna con quella integrità che rende il nostro amore sempre più conforme a quello che Lui ha dimostrato per noi.
“Chi è da Dio ascolta la mia Parola”. Giov. 8,47
La vita di comunione è garantita dall'ascolto: Atti 2,41 n.2
La comunità è generata e conservata dalla Parola: Atti 1,5; 8,25; 1,8; 4,33; 5,29; 8,1-4; 2,5; 6,7;
12,24; 11,13; 20,3;