Obbedienza e autorità
 
I° - L'obbedienza a Dio è l'obbedienza che possiamo fare sempre, in ogni istante. Ed è l'obbedienza che tutti possono fare: sudditi e superiori. Si dice di solito che bisogna imparare a ubbidire per imparare a comandare. Non è solo un principio di buon senso, ma qualcosa di molto più profondo. Significa che la vera fonte dell'autorità spirituale cristiana è l'obbedienza più che la "carica". Il centurione del Vangelo dice così a Gesù: "Io sono sottoposto ad una autorità e ho sotto di me dei soldati; e dico all'uno: va', ed egli va: e ad un altro: vieni, ed egli viene, e al mio servo: fa' questo, ed egli lo fa Lc 7,8. Il senso di queste parole è il seguente: per il fatto di essere sottoposto, cioè obbediente, ai suoi superiori e, in definitiva, all'imperatore, egli può emettere ordini che hanno dietro di sé l'autorità dell'imperatore in persona; egli viene obbedito dei suoi soldati perché, a sua volta, obbedisce ed è sottoposto al suo superiore. Così, pensa il centurione, avviene anche con Gesù nei confronti di Dio: dal momento che lui è in comunione con Dio e obbedisce a Dio, ha dietro di sé l'autorità stessa di Dio e perciò può comandare al suo servo di guarire ed egli guarirà; può comandare alla malattia di lasciarlo ed essa lo lascerà. È la forza e la semplicità di questo argomento che strappa l'ammirazione di Gesù e gli fa dire di non avere mai trovato tanta fede in Israele. Egli ha capito che l'autorità di Gesù e i suoi miracoli derivano dalla sua perfetta obbedienza al padre. Il centurione non fa dipendere la sua autorità dal fatto di essere stato nominato "centurione", cioè dal titolo! Quanto dal fatto di essere lui stesso sottomesso; cioè esercita non per potere, dominio ma per svolgere un ufficio (missione!). Poteva essere anche un centurione prepotente, in stato di ribellione: ma allora con quale autorità avrebbe chiesto di obbedirgli? Chi ha l'autorità su un altro uomo? Solo un prepotente, un dittatore!
Gesù agiva come il centurione. La sua autorità non la faceva dipendere dall'essere figlio... il Signore! Ma dal fatto che egli faceva, momento per momento, la volontà del padre. Giovanni 8, 29 “E io faccio sempre le cose che gli sono gradite". Concepire l'autorità come obbedienza significa non contentarsi della sola autorità ma cercare anche l'autorevolezza che può venire solo dal fatto che Dio è dietro di te e appoggia la tua decisione. Significa avvicinarsi a quel tipo di autorità che irradiava dall'agire di Gesù e che faceva dire alla gente: "che autorità è mai questa? Egli parla con autorità" Marco 1,22-33. La gente conosceva molto bene, a quel tempo, l'autorità. Il giudaismo era pieno di autorità eppure davanti a Gesù si percepisce un'autorità nuova, mai vista prima. Si tratta, infatti, di una autorità diversa, di un potere reale ed efficace, non solo nominale o ufficiale. Anche oggi il mondo è pieno di autorità di ogni genere, ma sono così poche le persone che oltre che l'autorità, hanno anche l'autorevolezza. Le comunità, le famiglie hanno bisogno di questo tipo di autorità spirituale. Quando un ordine è dato da un superiore o da un genitore che vive abitualmente la volontà di Dio, che ha pregato e non ha nulla da nascondere o da difendere, ma solo il bene del suddito o del figlio, allora l'autorità stessa di Dio diviene la base di tutto e, di fronte a possibili contestazioni, Dio dice al suo rappresentante ciò che disse a Geremia: "ecco io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo. Ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno perché io sono con te". Ger 1,18-19. Forse se c'è crisi di obbedienza è perché prima ancora c'è crisi di autorità, di questa autorità. Questo non significa attenuare l'importanza dell'istituzione e della carica o far dipendere l'obbedienza del suddito solo dal grado di autorità spirituale e di autorevolezza del superiore, ciò che sarebbe, manifestamente, la fine di ogni obbedienza. Significa solo che chi esercita l'autorità, lui deve fondarsi il meno possibile solo in ultima istanza, sul titolo o sulla carica che ricopre e il più possibile invece sull'unione della sua volontà con quella di Dio, cioè sulla sua obbedienza; mentre il suddito non deve interrogarsi o pretendere di sapere che la decisione superiore sia o no conforme alla volontà di Dio: egli deve presumere che lo sia. Per lui deve bastare il titolo o la carica. Istituendo quell'ufficio e ponendo quella persona a ricoprirlo, Dio ha già espresso per lui la sua volontà. Da ogni lato, come si vede, si impone la stessa osservazione: l'obbedienza a Dio o al Vangelo, è di buona lega, ed è frutto dello spirito, se mette in cuore il desiderio di obbedire ai rappresentanti di Dio: all'autorità, al superiore, alla regola. È sospetta, invece, in caso contrario. L'obbedienza ai superiori è il riscontro, la cartina di tornasole. Esattamente com'è l'amore del prossimo per chi afferma di amare Dio. Il primo comandamento rimane il primo... ma viene provato dal secondo! "Come puoi dire di amare Dio che non vedi, quando non ami... ?" 1 Gv 4,20
 
Se non obbedisci all'autorità istituita da Dio come potrai obbedire a Dio? Esiste anche nell'obbedienza il pericolo del vuoto e della secolarizzazione. Come nell'amare il prossimo prescindendo da Dio. C'è da recuperare ogni giorno la nostra obbedienza a Dio per rivivere l'obbedienza nello Spirito, per vivere pienamente la sua volontà.
 
II Maria, l'obbediente
In questa ultima parte della nostra meditazione sulla obbedienza vogliamo brevemente contemplare l'icona vivente della obbedienza, colei che non solo ha imitato l'obbedienza del servo, ma l'ha vissuta con Lui. S. Ireneo scrive: parallelamente a Cristo, Maria Vergine è l'obbedienza. Infatti dichiara: “Ecco la tua serva, avvenga di me quello che hai detto”. Come Eva disobbedendo divenne causa di morte per sé e per tutto il genere umano, così Maria, obbedendo, divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano. Volendo trovare un perno sul quale basare da una parte il parallelismo Gesù-Maria e, dall'altra, l'antitesi Eva-Maria, Ireneo lo trova nella virtù dell'obbedienza. Il santo ha affermato con chiarezza il nucleo di dottrina di S. Paolo, espresso in Romani 5,19 e lo ha esteso coerentemente a Maria e in Lei, alla Chiesa.
 
Ci ha dato così la prima dottrina sulla obbedienza della Chiesa e alla Chiesa. Maria, con la sua obbedienza fa da cerniera tra Cristo e la Chiesa.
La sua è stata un'imitazione esemplare e prototipica che, a sua volta, serve da modello a tutta la Chiesa. Maria, immagine della Chiesa... si presenta dunque come l'obbediente. Questa è la sua prerogativa personale la parte dovuta a Lei, che più l'affianca a Cristo. La L. G. n. 56.61.63 afferma che Maria con la sua obbedienza cooperò alla salvezza dell'uomo; che sotto la croce divenne, per la sua obbedienza e per la sua fede, madre nell'ordine della grazia e modello della Chiesa".
Ma in che cosa consiste, in definitiva, l'obbedienza. È necessario rifarsi alla Scrittura e osservare in base a che cosa Gesù viene definito obbediente. Oppure, in base alla Tradizione per quale scelta viene definita Maria l'obbediente! Disse e visse: "Eccomi, sono la... si faccia...". E l'umanità ricevette la Vita! Anche Maria ubbidì sicuramente ai genitori, alla legge, a Giuseppe. Non è però a questa obbedienza che pensa San Ireneo ma alla sua obbedienza alla Parola di Dio. "Beati piuttosto coloro che ascoltano... e la mettono in pratica".
Come Eva, antitesi di Maria, disobbedì alla Parola... così il fiat di Maria ripara e rinnova tutto. Origene, meditando queste parole: "Ecco, sono la..." così le interpreta: "Sono una tavoletta da scrivere; lo scrittore scrive ciò che vuole, il Signore sa tutto". Egli paragona Maria alla tavoletta cerata che si usava al suo tempo per scrivere, per indicare la docilità assoluta di Maria. Maria offre se stessa a Dio come una pagina bianca, come un'altare su cui avviene il sacrificio, dove colui che scrive e sacrifica può disporre di tutto; restituisce a Dio quella libertà assoluta che aveva su di lei, fino ad un attimo prima di crearla, quando non era se non un pensiero del suo cuore ed egli poteva fare di Lei, senza il suo consenso, qualsiasi cosa. Il comportamento di Maria è sempre stato visto come il vertice di ogni comportamento religioso davanti a Dio. L'obbedienza di Maria non finisce con l'annunciazione: quello fu in un certo senso solo l'inizio. Nella presentazione al tempio è avvenuto per Maria qualcosa che ricorda ciò che avvenne per Gesù nel Battesimo al Giordano. In quella occasione il Padre confermò al Figlio che il suo essere Messia doveva essere di sofferenza, doveva essere una vocazione ad essere Messia sofferente, servo rifiutato e Gesù rispose nell'obbedienza "eccomi". Nella Presentazione al... le parole di Simeone "e una spada..." le disse che doveva essere Madre di un Messia contraddetto, rifiutato, una vocazione dolorosa e ardua. Anche Maria rispose con l'obbedienza silenziosa. Essa venne allargando, via via, il suo sì, fino ad abbracciare in esso tutto, anche la croce. Anche di Maria si può dire ciò che l'epistola agli Ebrei e dice di Gesù e cioè "che imparò l'obbedienza dalle cose che patì". Eb. 5,8. Fino al patibolo della croce dove i dolori lancinanti si uniscono e divengono la causa della nostra salvezza. "Obediens usque ad mortem".
Perché abituati a meditare forse, qualche volta, banalizziamo il fiat di Maria. È sempre necessario applicare la categoria della contemporaneità. Maria è stata l'unica vera contemporanea di Gesù, nel senso più profondo. Noi crediamo le cose che sono accadute, ma Maria credeva le cose che accadevano, mentre accadevano. Maria ha obbedito in situazione di contemporaneità, non come noi che vediamo i fatti a 2000 anni di distanza, dopo tante verifiche, riprove, chiarimenti e spiegazioni. Noi sappiamo ciò che è successo dopo; per Maria era la prima volta nella storia ed era così fuori dalla norma, così pericoloso. Si trattava di diventare madre prima di essere sposata. Maria conosceva certamente ciò che era stato scritto nella legge: "Se la giovane non è stata trovata dal marito in stato di verginità, allora la faranno uscire dalla casa del padre e la gente della sua città la lapiderà". Deut. 22,20-22. Per Maria non c'era nessun appiglio umano, nessun punto di riferimento, all'infuori di Dio e della sua Parola; non c'era per lei nessuna spiegazione. Bisogna mettersi nei panni di Maria per valutare la portata della sua obbedienza e nessuno potrà mai fare veramente questo perché non si può ripetere ciò che è avvenuto una sola volta nella storia. È certo che dobbiamo imparare moltissimo dell'obbedienza di Maria. Preghiamo con il salmo 142,10 che Maria doveva conoscere e recitare, e che ci fa chiedere al Signore. "Insegnami a fare il tuo volere!".
III Sono convinto che per superare l'attuale crisi di obbedienza sia necessario innamorarsi dell'obbedienza.
L'obbedienza è la chiave che apre il cuore di Dio. Ricordate Abramo che torna dal monte Moria e Dio gli dice: "Io ti benedirò di ogni benedizione. Saranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce". Gen. 22,18.
La stessa cosa si ripete, ad un livello infinitamente più alto con Gesù Cristo. Poiché egli si è fatto obbediente fino alla morte: allora il Padre lo esalta e gli dà un nome che è... e ogni ginocchio si pieghi" Fil. 2-8,11.
Nel Battesimo a questo servo obbediente il Padre dichiara la sua compiacenza e manda il Suo Spirito su di Lui. Se vogliamo entrare in questa compiacenza del Padre dobbiamo imparare a dire il nostro "eccomi". Attraverso tutta la Bibbia risuona questa parola, semplice e breve ma tra le più care a Dio. Essa esprime il mistero dell'obbedienza da Dio. Abramo disse: eccomi. Maria disse: eccomi; Samuele disse: "eccomi". Isaia disse: "eccomi". Maria disse... Gesù disse. È come una risposta pronta ad un appello: presente! Eccomi! È una parola che Dio enormemente gradisce:... Bar. 3,35!
Conclusione:
Il salmo 42 scrive un'esperienza spirituale che ci aiuta a formulare il proposito alla fine di questa meditazione. Un giorno che era pieno di gioia e di riconoscenza per i benefici del suo Dio (ho sperato... ho sperato ed Egli su di me si è chinato...) in un vero stato di grazia, il salmista si domanda che cosa può fare per rispondere a tanta bontà di Dio: offrire olocausti, vittime? Capisce subito che non è questo ciò che il Signore attende da lui; è troppo poco per esprimere ciò che ha nel cuore. Allora ecco l'intuizione, la Rivelazione: quello che i Signore desidera da lui è una decisione generosa e solenne, di compiere d'ora in poi, tutto ciò che il Signore desidera da lui, di obbedirgli in tutto. Allora egli dice: "Ecco io vengo... sul rotolo del libro di me è scritto, che io faccia il tuo volere...".
È la nostra preghiera e decisione. Ecco, io vengo, per fare il tuo volere. "Al mattino, nell'iniziare una nuova giornata, nel recarsi ad un appuntamento, ad un incontro: Ecco...". Non sappiamo ciò che avverrà in quella giornata! Ma sappiamo bene una cosa: che in tutto vogliamo fare la sua volontà. Non sappiamo che cosa ci riserva l'avvenire, però è bello recitare: "ecco io vengo o Signore per fare la tua volontà".