L'Eucarestia: fonte primaria della Carità
 
 “Da questo abbiamo conosciuto l'amore …” 1 Giov. 3,15-18. Il gesto con cui Gesù offre la sua vita, dona tutto se stesso al Padre per amore dei fratelli, non è soltanto un fatto o un ricordo del passato, è stato sacramentalizzato da Lui stesso e lo ritroviamo sempre presente al centro della liturgia, nella celebrazione eucaristica. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” Giov. 15,13.
Gesù l'ha detto e l'ha fatto e per questo nell'Eucarestia non ha voluto lasciarci il dono statico del suo corpo e del suo sangue e divinità, ma esattamente il suo corpo in quanto donato o meglio nell'atto di donarsi; similmente ci dona quel sangue versato per la nostra salvezza, sangue che ha fondato e rende sempre attuale l'alleanza di amore tra Lui e noi ma anche tra di noi.
Il Concilio Vaticano II dichiara che la liturgia (spiegare …) ha al suo centro la celebrazione dell'Eucarestia nella quale è “racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa” (P.O.5) e ancora dichiara che “la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, fonte da cui tutta la sua virtù” S.C.10. Il centro della congregazione, cioè del convivere di tutti i fedeli è l'Eucarestia e il presbitero è chiamato a educare i fedeli perché nell'offrire la vittima divina all'altare, entrino nella stessa legge della totale donazione per amore (P.O.5) altrimenti è un'offerta rituale … (che non coinvolge se stessi e la vita) e non autentica, trovandosi in antitesi con l'offerta di Cristo. Non fa meraviglia leggere più avanti nello stesso documento queste precise e forti parole: “Non è possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra Eucarestia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità. La celebrazione eucaristica, a sua volta, per essere piena e sincera deve spingere sia alle diverse opere di carità e al reciproco aiuto, sia all'azione missionaria e alle varie forme di testimonianza cristiana”. La conclusione è che la charitas pastoralis ha la sua primaria sorgente nel sacrificio eucaristico, per tutti!
“Universa nostra caritas est eucharistica” perché nella Eucarestia si trova il principio sia generativo che oblativo della carità fraterna, tanto che non si può ledere questa senza offendere anche l'Eucarestia di cui partecipiamo se ne siamo ben consapevoli. Il nesso dunque tra Eucarestia e carità non è qualcosa di accidentale o periferico, fatto magari di forzati ragionamenti ma si richiamano a vicenda, sono indissolubili e strettamente consequenziali.
 II - la vita di Cristo dunque si è spesa tutta in una donazione di amore, specialmente per i più poveri in tutti i sensi e si è consumata nell'offerta del Calvario. Se Gesù ha voluto perpetuare per noi, attraverso l'istituzione sacramentale, il gesto che sintetizza e totalizza la sua esistenza tutta vissuta per gli altri, non è soltanto perché avessimo sotto gli occhi il suo esempio, ma perché potessimo attingere da quella fonte inesauribile la capacità di fare altrettanto: “fate questo in memoria di me” Lc. 22,19. È così che l'Eucarestia costruisce la Chiesa, cioè una comunione di amore. Unità del Corpo Mistico di Cristo che si evidenzia come evento! Quando nella mente e nei cuori dei fedeli si forma la coscienza che l'Eucarestia costruisce di volta in volta la comunità, è chiaro che l'esigenza della carità non si ferma al momento rituale. Nella lettera che Giovanni Paolo II scrisse per il Congresso Internazionale Eucaristico di Lourdes del 1981 dopo aver sottolineato l'effetto primario “dell'ut unum sint” continua: “o quali conseguenze anche per la stessa società, per il modo di avvicinare gli uomini fratelli, soprattutto i più poveri, di servirli, di condividere con loro il pane della terra e il pane dell'amore, di costruire con loro un mondo più giusto, più degno dei figli di Dio …”. Teniamo presente che Giovanni Paolo II pone come frutto dell'Eucarestia la lavanda dei piedi, cioè sentimenti e azioni concrete di umiltà e di carità senza i quali non si può essere donazione e servizio reciproco. L'amore non resta qualcosa di sentimentale o astratto ma si fa realtà concreta. È quanto dice S. Giovanni, 1 Giov. 3,12: “non amiamo a parole né con la lingua, ma con fatti e nella verità”. Verità è la partecipazione al dono di Cristo!
 III - S. Paolo contesta l'Eucarestia celebrata dai Corinzi.
Ancora più esplicito e direttamente riferito al nesso Eucarestia - carità fraterna verso i poveri, è il famoso brano di S. Paolo, 1 Cor. 11, 17-34: racconti dell'ultima cena. È da collocarsi a una ventina di anni dal primo Giovedì Santo.  
Dal contesto si vede che S. Paolo non propone una dottrina o un rito nuovo che i Corinzi invece celebravano regolarmente. Tutto perfetto sul piano liturgico. Ciò che S. Paolo non accetta fin dalle prime battute è come vivono la celebrazione da parte della comunità. Per questo l'Apostolo mette il dito su due piaghe che proprio in quell'occasione si evidenziano e scandalosamente in netto contrasto con il contenuto della celebrazione. La prima piaga è la divisione della comunità in tante fazioni già stigmatizzata nel primo capitolo della stessa epistola (io sono di Apollo ecc.). La seconda piaga consiste nel fatto che ciascuno dei partecipanti rimane chiuso nel suo egoismo, mangiando a crepapelle le proprie provviste fino a ubriacarsi, rimanendo così cieco e insensibile di fronte ai bisogni dei fratelli.
La protesta di S. Paolo si fa così veemente da fargli dire che un simile riunirsi …: più danno che frutto spirituale; disprezzo per la Chiesa di Dio; l'Eucarestia celebrata così non è mangiare la cena del Signore. Dopo aver espresso la sua più completa disapprovazione S. Paolo introduce il racconto dell'ultima cena per far risaltare nella maniera più netta l'antitesi tra quanto Gesù ha inteso esprimere attraverso i segni … e il comportamento pratico di quella comunità.
Con accento commosso si rievoca il clima nel quale Gesù ha istituito il suo memoriale per eccellenza. In quella stessa notte in cui i nemici tramavano nelle tenebre … egli compie il suo grande gesto d'amore. Mentre veniva ricercato per tradimento, si consegna per amore fino all'immolazione di se, dopo aver amato i suoi … Giov. 13,1. S. Paolo evidenzia il tutto con le parole di Gesù: “questo è il mio corpo, offerto, dato, sacrificato, spezzato, per voi”. In quel “per voi” c'è tutta la teologia del servo sofferente che consuma tutta la sua vita in una donazione volontaria. In 1 Cor. 11,24 si dice:” fate questo in memoria di me”; ma è chiaro che non si può fare vera memoria di quel che Gesù ha fatto se non si entra negli stessi sentimenti, nelle stesse disposizioni interiori del Redentore in quel momento. Il nostro rischio sono parole che rimangono tali, esteriorità senza vivere il senso!
La grande novità dunque che Gesù colloca al centro della religione cristiana e di tutta la storia della salvezza sta nel fatto che Egli ha operato la redenzione del mondo con un gesto di autodonazione nell'amore più gratuito. Cristo rivela nella maniera più sublime che Dio è amore e il mondo si salva solo nell'amore. Tutti siamo invitati a fare della nostra vita un'ostia spirituale a Dio e una donazione nella carità perché questa non è altro che una partecipazione alla carità di Cristo. Per questo S. Agostino poteva dire che “la Chiesa ogni giorno impara a offrire se stessa offrendo Lui”. S. Cipriano: “il sacrificio più grande offerto a Dio è la nostra concordia fraterna … è la giustizia con i fratelli”. Appare dunque evidente che è l'Eucarestia a costruire la Chiesa, in quanto comunione di amore sia ad intra che ad estra verso tutti i bisogni dell'umanità. La carità nostra è quella di Cristo, cioè quella della croce e dell'eucarestia.
 IV - dalla celebrazione alla comunione d'amore.
Se dal mistero più profondo che lega in radice l'Eucarestia alla carità cristiana in tutte le sue forme, passiamo alla celebrazione concreta della comunità o alle opere di amore, vi troviamo la stessa correlazione e continuità. La comunione fraterna, oltre che essere frutto della grazia sacramentale specifica, è condizione previa e indispensabile già per accostarsi all'altare secondo il comando esplicito del Signore. Il punto di partenza è il “convenire in unum”. Il riunirsi insieme per costituire l'assemblea liturgica non è solo un fatto materiale o estrinseco ma implica fin dal principio un'accoglienza, ospitalità reciproca.
In realtà la riunione domenicale era sentita non come un adempimento giuridico per “assistere alla messa e soddisfare il precetto”, ma come un essere Chiesa e non voler essere e fare Chiesa con i fratelli: una piccola convocazione della grande convocazione che è la Chiesa tutta. Non si va al Cristo saltando la comunità ma facendo comunità con i fratelli. Il riunirsi insieme per pregare insieme, professare la stessa fede, cantare insieme, mostrare negli stessi gesti la profonda comunione esistente fino al culminare con il gesto ardito del bacio della pace e di riconciliazione fraterna che prelude immediatamente alla comunione con Cristo centro e fonte di unità per tutti. L'amen che si dice alla comunione è la sottoscrizione al ricevere il corpo di Cristo e alla comunione con tutti i fratelli …!
I Padri sottolineano l'unità che si crea con l'Eucarestia: “come questo pane, chicchi … sui monti, così il vino … nell'Eucarestia veniamo a formare un solo corpo con Cristo e tra noi”. Così nel concilio Vaticano II P.O. n.31 nessuno manchi mai alla riunione domenicale. Agli assenti, se malati, veniva inviata l'Eucarestia perché nessuno doveva essere escluso dall'unità. Da qualunque parte si guardi l'Eucarestia, appare sempre e ovunque come il vero centro e principio attivo di comunione fraterna.
Domenica, giorno del Signore e giorno dell'Eucarestia veniva visto come il giorno della riconciliazione, della liberazione. Riconciliazione tra fratelli, liberazione degli schiavi.
Eucarestia non come momento rituale, ma come fermento della storia e inizio di una umanità nuova.
 V - dalla celebrazione alla carità verso i poveri.
Da quanto esposto finora, risulterà chiaro che anche il campo più specifico dell'amore e del servizio verso i poveri, non poteva essere sentito come qualcosa di marginale in rapporto a ciò che veniva celebrato specialmente nel contesto dell'assemblea domenicale, ma bastava essere compresi di ciò che si faceva per tirare tutte le conseguenze nella vita pratica. Se si studia attentamente la ricchezza e la profondità del N.T. (influenzato e orientato dal A.T.) sul senso strettissimo che corre tra la celebrazione liturgica e la sensibilità verso i bisogni dei poveri, si resta stupiti che in certe epoche della Chiesa (anche oggi) i due ambiti siano estranei, oppure si incontrano occasionalmente solo in certe circostanze.
Tre osservazioni prendiamo in considerazione.
  • Frequenti scambi di linguaggio.
E' stato osservato tante volte dagli esegeti come il linguaggio della carità e quello del culto siano accostati spessissimo tanto da essere usati indifferentemente l'uno o l'altro = carità, ostia, offerta, sacrificio.
I doni inviati a S. Paolo dai Filippesi sono “un profumo di soave odore, un sacrificio accetto e gradito a Dio”, Fil. 4,18. Così in Eb. 13,16: la condivisione dei beni diventa un sacrificio gradito a Dio. Cap. 8 e 9 di 2 Cor. carità = diaconia, liturgia, grazia ecc. . Tutta la lettera di Giac. 2,1-9. Nella Didascalia Apostolorum = se arriva un povero e non c'è più posto … il Vescovo vada a sedersi per terra ma lasci il posto al povero che rappresenta Cristo! Prassi disattesa purtroppo, con i banchi riservati … i  matronei per i nobili ecc. .
  • Presenza reale.
Questa correlazione tra carità e culto raggiunge il suo culmine nel N.T. quando Gesù fa suo l'insegnamento profetico di Osea 6,6 = Dio gradisce più la bontà del sacrificio: Mt. 9,13; 12,7, vuota ritualità… Così per noi cristiani è assurdo voler trovare Cristo reale sotto le specie.. e non nei fratelli poveri, Mt. 25,31. È rivolta a Lui ogni opera di carità o a Lui rifiutata! S. Giovanni Crisostomo: è inutile onorare con sforzo la Chiesa se si lascia fuori dalla porta a morire di fame e di freddo il povero! “Colui che ha detto: questo è il mio corpo …, è lo stesso che ha detto: avevo fame … e mi avete … o non mi avete …”.
Purtroppo attorno alla presenza reale eucaristica abbiamo costruito cattedrali di teologia, di arte e di grande sfarzo, mentre per il bisognoso, sempre sacramento di Cristo e decisivo per la nostra salvezza, ci siamo accontentati di qualche pia esortazione o stiracchiata elemosina. La scissione Eucarestia - carità è una delle più grandi disavventure capitate alla Chiesa dal tempo dell'obbligo del precetto festivo!
  • Unità tra fede, rito e vita.
Il N.T. colloca nello stesso contesto dell'ultima cena l'istituzione dell'Eucarestia, la lavanda dei piedi, la proclamazione solenne del comandamento nuovo della carità, fino alla preghiera: “ che tutti siamo una cosa sola”. È una unità superiore che si richiede tra fede - rito e vita, la predicazione di S. Paolo ai Corinzi per la colletta a favore di Gerusalemme, ricomponendo l'unità! La lezione non andò perduta. Infatti leggendo la descrizione che S. Giustino fa della celebrazione eucaristica, 150 d.C., possiamo conoscere con precisione lo svolgimento della messa e arrivati alla comunione per i presenti e attraverso i diaconi agli assenti, prosegue: “i ricchi e quelli che lo vogliono, ciascuno a sua scelta, offra quello che intende dare e, quanto si raccoglie, viene consegnato a chi presiede ed egli soccorre gli orfani, le vedove, i malati, i bisognosi, i carcerati, i pellegrini e, in una parola, si prende cura di chi è in necessità”. Al principio e alla fine del brano, S. Giustino avverte che questo avveniva regolarmente nel “giorno del sole”, com'egli chiama la domenica.
Questo è il messaggio primitivo autentico. Fa male osservare come a poco a poco tutto sia stato ridotto a un rito, ma senza questo aspetto della carità anche il rito non ha purtroppo valore. S. Giovanni Crisostomo ancora osserva: “Mettete da parte qualche cosa e fate della vostra casa una chiesa, il recipiente che raccoglierà l'elemosina sarà la cassa. Fatevi spontaneamente custodi dei poveri. È la vostra carità che vi conferisce un tale sacerdozio”. Come a dire che con la carità nasce il sacerdozio dei fedeli. Come Cristo si è donato nell'Eucarestia e diviene sacerdozio, così noi ci doniamo ai fratelli: sacerdozio …!
S. Agostino afferma che tutto è inutile nella tua offerta all'altare se non porti te stesso o se non offri la tua vita reale.
  • Unico servizio = nascita della diaconia nella Chiesa.
Il diacono, un unico servizio: all'altare e alle mense.
 VI - la lezione dell'A.T.: far festa con i poveri.
In Gesù, nel suo esempio, nel suo insegnamento, nella sua donazione completa, l'A.T. raggiunge il suo culmine e il suo compimento più perfetto e insuperabile. Ma per il tema che ci interessa non dobbiamo dimenticare la notevole elevatezza raggiunta dalla religione e dalla prassi ebraica testimoniata da tante figure e testi dell'A.T. che hanno influenzato anche la comunità cristiana e pongono in stretto legame culto e carità, senso della festa e soccorso ai poveri. Qualche testimonianza:
  • Pasqua per chi è nel bisogno.
È la più grande festa ebraica. All'inizio = offerta di un agnello a primavera … più avanti la celebrazione della grande liberazione … e il realizzarsi di un popolo. La festa, il grande memoriale serviva a rinsaldare l'alleanza con Dio e con tutto il popolo eletto. L'immolazione del capretto nel tempio e il banchetto in casa rafforzava l'intimità e si apriva ai vicini di casa … e si faceva ripetutamente mansione dell'invito ai poveri che si incontravano in quella circostanza o si sapeva bisognosi. Il padre di famiglia pronunciava una formula, ancora oggi in uso, che diceva così: “Ecco il pane della miseria che i nostri padri mangiarono quando uscirono dall'Egitto. Chi ha fame, venga e mangi. Chiunque è nel bisogno venga, mangi e celebri la Pasqua con noi”. Il tempio di Gerusalemme in questa occasione diventava meta e centro di pellegrinaggi anche da lontano: quindi anche di poveri! Per questo nella notte le porte rimanevano aperte ed erano previste speciali distribuzioni di elemosine. Del resto questo veniva anche settimanalmente fatto: una cassa raccoglieva offerte, una speciale attenzione per i poveri vergognosi! Non si concepiva una festa senza uno speciale pensiero e soccorso per i poveri o i fratelli più bisognosi; Deut. 16,9-15, Deut. 14,22-29.
Così scampato il pericolo della distruzione del popolo, Mardocheo fa festeggiare ogni anno … ed elargizione ai poveri; Est. 9,19-22. Così pure fa Neemia; Neem. 8,8-12.
b)  La festa del Sabato.
Non la si può dimenticare, ricordo della creazione e della liberazione. Da questa esperienza di liberazione vengono dedotte una serie di conseguenze per la vita pratica che rivelano una grande apertura sociale.
Il pensiero che sottostà a tali testi si può ridurre al seguente. Tu hai provato il lavoro disumano e la schiavitù in Egitto, una cosa del genere non deve più ripetersi né per te né per gli altri. Per questo lavorerai sei giorni, non al Sabato, perché riposerete, tu, la tua famiglia, il tuo schiavo, ecc., Es. 20,8-11; Deut. 5,12-15; Lev. 19,33.
È stupefacente per questi tempi una prospettiva simile che umanizza il lavoro, per cui almeno una volta alla settimana bisogna lasciare respiro al lavoratore, chiunque esso sia in modo che possa prendere coscienza di sé, della propria dignità, di vivere il proprio rapporto con Dio e in quel giorno tutti sono uguali. Comprensione anche per gli animali anche loro bisognosi di riposo!
  • Insegnamenti di Tobia al figlio.
Se si volesse trovare nell'A.T. un santo che ha vissuto in maniera perfetta la festa e la compassione per i poveri in stretta relazione è la figura di Tobia, Tob. 2,1-9, per ciò che ha fatto o per quello che insegnava a suo figlio: “Dei tuoi beni fai elemosina. Non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà mai da te lo sguardo di Dio”. E ancora: “Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l'elemosina con la giustizia”; 4,7; 12,8. Così pure Daniele dirà a Nabucodonosor: 4,24! Così Amos 5,21-27. Osea 6,6. Es. 1,10-17.
Tutto si completa in Gesù: Lc. 4,18-19!
Il N.T. si è collocato in questa scia e ha prolungato l'insegnamento del'A.T.. La comunità cristiana ha compreso e ha sintetizzato nel banchetto eucaristico, soprattutto nel giorno del Signore, il momento forte di amore verso Dio e verso i fratelli bisognosi. Si tratta di metterci in questa linea e far diventare l'Eucarestia il momento più puro per la nostra prassi caritativa. Soprattutto verso chi si trova nel bisogno.