Fede e cultura  
 
Per chi è un poco attento alla realtà sociale dei nostri ambienti comprende l'urgenza di una riflessione sulla fede che deve farsi cultura. La fede cristiana ha marcato l'Europa! Lo studio e il convegno sulle comuni radici cristiane d'Europa ci hanno dimostrato quanto la fede non sia  rimasta nei conventi, nelle sacrestie o cosa da preti ma sia diventata costume, morale,  scelte, civiltà - cultura insomma. Lo studio che potremmo fare delle nostre case, della nostra città ci potrebbe portare alla stessa conclusione: la fede è diventata vita per l'uomo. Gli ospedali, i ricoveri, le chiese, le edicole in ogni angolo della città, il buon cuore, la capacità di perdonare, la solidarietà in certi momenti, alcune funzioni  religiose ci dicono quanto la fede abbia lavorato divenendo mentalità, comportamento. Ma ognuno pure vede quanto, l'emarginazione di Dio e della fede abbia generato, in questi ultimi anni, una cultura che non più nulla di cristiano, una cultura tante volte, anti-umana. E' tutto ciò perché la fede non è vissuta come tale e quindi non genera quanto generava nel passato. La crisi della cultura a servizio dell'uomo, oggi, è fondamentalmente crisi di fede. Una fede non più sapientemente  interiorizzata è una fede mancante, non più esteriorizzata. E' la crisi del mondo.
Vediamo innanzitutto se si può parlare di cultura cristiana. In Giov. Paolo II diciamo di sì. Afferma dell'urgenza, oggi “di non far mancare una forte, seria, operosa presenza culturale cattolica”. (in Vescovi lombardi per la visita ad limina). Così è Paolo VI: cultura cristiana, cattolica!
  • I significati fondamentali di “cultura”.
Cultura è oggi parola usatissima e quasi mitica come in altra epoca la parola “progresso”. La si esalta come valore un po' ovunque; è citata, sottolineata come grande valore ma raramente si dice che valore ha. Anzi appare chiaro che a seconda di chi la usa si dà un significato e un contenuto molto diverso. Qualche volta cambia contenuto anche in uno stesso discorso o in una stessa pagina  da parte di chi ne sta parlando: e da qui parecchia confusione. La ragione storica di tutto ciò sta nel fatto che agli antichi contenuti della cultura se ne sono aggiunti parecchi nuovi senza una definitiva scelta o caduta degli uni o degli altri. Decine e decine sono le definizioni di cultura. Noi non le esamineremo. Piuttosto ci soffermeremo su tre significati atti a comprendere il nostro intento di cultura cristiana generata dalla fede.  La “Coltivazione dell'uomo”.
I°  a) Il primo significato proviene da un'immagine di origine agricola che viene piegata a esprimere un avvenimento dello spirito: cultura è “la coltivazione dell'uomo nella sua vita interiore”. Nel momento classico, ove è sbocciata questa idea, si era pure persuasi che tale coltivazione poteva attuarsi attraverso i valori assoluti e cioè: coltivazione dell'uomo mediante il vero, il bene, il giusto, il bello. Solo la verità, la bontà, la giustizia, la bellezza sanno nutrire l'uomo, l'aiutano a crescere, ne fanno sbocciare tutte le virtualità. Questa coltivazione comprende anche la “paideia”  cioè l'educazione integrale dell'uomo nella sua prima età; ma non si esaurisce in essa, prosegue per tutta la vita. Orazio, Cicerone parlavano di “cultura animi. Comunque questa educazione non escludeva la partecipazione diretta dell'uomo alla propria coltivazione ma appariva, questa partecipazione, un  poco passiva.
b) Si passò poi a intendere per “cultura” non solo l'azione in se stessa della coltivazione dell'uomo ma anche il suo risultato. La parola prese ad indicare il patrimonio spirituale acquisito di cui è dotata una persona. E, in conformità con la visione classica, tale patrimonio fu individuato nei valori acquisiti di natura intellettuale, morale ed estetica onde lo spirito è stato arricchito dalla “coltivazione”. Tutto ciò non è sinonimo di “erudizione”. Si voleva significare con il termine “cultura” non solo l'aggregazione di notizie indipendenti tra loro, ma la loro composizione in una sintesi organica. Nell'uomo colto si suppone un'azione unificante dell'intelligenza. Tutto ciò non è necessario nell'uomo che si stima solo un erudito. Fino al sec. XVIII non si conoscono altri contenuti del vocabolo. Esso è sempre, fin qui, riferito alla vita personale del singolo.
c) Con l'esaltazione dell'idea di popolo o di nazione la parola “cultura” acquista una dimensione, per così dire, “sociale”. E si comincia a parlare di una cultura di un paese, di una gente, di una comunità umana. In questo senso, la cultura di una società è data dai mezzi sociali di coltivazione dell'uomo e dai nuovi risultati sociali e cioè, prima di tutto, dalle sue scuole, dai suoi istituiti di ricerca, dai suoi mezzi di comunicazione e di diffusione delle idee; poi dalla produzione letteraria, artistica, musicale e, molto di più dal possesso dei valori di verità, di giustizia, di bellezza.
II° Cultura come elaborazione di parte dell'uomo.
Dalla seconda metà del sec. scorso avviene una vera e propria rivoluzione del significato di “cultura”.
L'uomo entra ancora come elemento determinante ma non più come destinatario e il termine dell'azione culturale ma come principio, soggetto della cultura. Il vocabolo non vuol più tanto significare i valori oggettivi passati ma quanto un popolo riesce a partorire, a creare e a farlo suo possesso. “Cultura” diviene la umanizzazione “della natura”. Cultura diviene il risultato di tutti i lavori ed elaborati che un popolo realizza. Non ha alcuna importanza il valore oggettivo del prodotto: è importante che sia risultato di un popolo. Allora nascono tante culture quanto sono i raggruppamenti umani.
III° Cultura come scala di valori.
In questo ultimo mezzo secolo è emerso un altro modo di interpretare la cultura: la cultura si propone risolutamente come interpretazione della realtà e come principio di comportamento. Cultura viene ad indicare un sistema collettivo di valutazione delle idee, degli atti, di modelli di vita ricercati o accolti. Una tale cultura comporta una scala di valori proposta e accettata anche una determinata comunità umana. E siccome i valori e la scala di valori vengono liberamente e arbitrariamente e forzatamente stabiliti ne deriva che vi possano essere diverse culture ciascuna delle quali è identificabile a seconda dei valori primari che sottolinea. Qui, a questo punto, possono nascere due gravi comportamenti. Un primo: se la propria cultura fatta di quella scala di valori diviene un assoluto è facile stimare come rozzi, volgari, ignoranti chi vive diversamente. Secondo: definire “integralista” dogmatico, e con sprezzo chi è coerente con i propri principi, e si sente o si arroga il diritto di sentenziare. Pensiamo alla cultura razionalista, positivista idealista, marxista, radicale con la loro capacità di essere inesorabilmente, oggi, critiche su ogni altra cultura; dogmi di fede con cui si sentenzia come se avessero una rivelazione divina a base per cui sono senz'altro nella verità.
  • La fede
Abbiamo visto il termine cultura. Vediamo di capire che cosa sia oggettivamente la fede entro l'autentica visione cristiana. In quanti diversi modi è vista la fede! Nella tradizione rituale o nel sentimento religioso senza partecipazione dello spirito e senza base razionale. Fede strumentalizzata, mutilata, travisata, alterata. Ed è pure mutilata pensare alla fede solo come aspetto conoscitivo oppure volontaristico.  Allora? Allora La Rivelazione ci dice che la fede è una risposta e può essere capita solo se è riferita all'intervento di Dio nella storia attraverso Gesù salvatore.
Credere è accoglimento di Dio in noi, di Dio che ci vuole destinatari, interlocutori, alleati, in comunione con Lui.
E' accoglimento personale di Dio che entra con tutto se stesso e tutta la Rivelazione e vuole una risposta integrale. La risposta a Dio è la fede ma questa fede-risposta è tutto l'uomo - ragione, volontà, sentimento, progettazione, cultura, vita che si apre a Cristo Signore e si mette a sua totale e radicale disposizione. Questo aprirsi a Cristo, alla sua Parola, alle sue sollecitazioni rende l'uomo diverso, trasformato e integralmente. Cristo rende l'uomo finalmente tale. L'uomo in Cristo si sente salvato, finalmente capisce e sa come orientare l'esistenza. Trasfigura ed eleva al sua capacità di conoscere perché credere vuol dire pure incominciare a vedere tutto, a giudicare tutto, a realizzare tutto con gli occhi di Cristo. In questa luce vive nella libertà e nella gioia perché riceva la forza e l'orientamento ed amare - (essenza e pienezza dell'uomo) amare Dio, i fratelli, ogni creatura. Si trova a vivere nella novità totale. S. Paolo ha scritto: “se qualcuno è in Cristo, è una creazione nuova”. La risposta di fede alla domanda di Dio crea, dunque un uomo nuovo. Ma questa risposta è pure la premessa di un mondo nuovo. “Se credi, tutto è possibile”.
L'uomo nuovo, ovviamente, è principio di un comportamento nuovo e diverso in tutti i campi: nuovo si fa il suo modo di essere, di lavorare, di soffrire, di gioire, di associarsi, di attendere alla umanizzazione del mondo (lettera a Diogneto!). La fede, principio dinamico - è lo Sp. Santo - non resta  confinato nel segreto dei cuori ma irradia la sua novità in ogni angolo dell'universo. L'uomo nuovo tende per impulso intrinseco e connaturale a costruire una società nuova, una nuova storia, una nuova cultura. (quando vedo le nostre parrocchie… i ragazzi che pregano… al lunedì Taizé …  e poi sfaccendati, disimpegnati … è perché non c'è fede a sufficienza … o c'è alienazione) c'è da fare un grosso esame di coscienza: l'assenza di progetti, giornali in difficoltà … alla radio difficoltà …. non si sa cosa dire… è una fede mutilata, sentimentale … una fede non adulta!).
Non si capirebbe adeguatamente né la fede né l'uomo nuovo che ne consegue se non si ricordasse che la fede è un evento personale, che la novità  crist. è un evento personale, ma nello stesso tempo è principio e ragione della comunità cristiana. La novità cristiana diviene evento nella comunità cristiana.
Il cristiano unito a Cristo si unisce a tutti i fratelli nella fede: nasce il concorpo, così detto da S. Paolo, il corpo di Cristo, la presenza di Cristo, il volto storico di Cristo; incomincia a vivere e operare nella storia il mistero della Chiesa. Il sì personale a Cristo che ti trasforma fa nascere il mistero della e nella storia: la Chiesa, la comunità. La risposta adeguata all'intervento salvifico di Dio è la Chiesa, cioè una umanità nuova. Non può che non essere così! Ogni interpretazione, ogni scelta individualistica, ogni ritorno all'individualismo  o un rimanere nell'individualismo tradisce un aspetto essenziale del fatto cristiano. Il sì del cristiano - uomo nuovo - che non diviene comunità, segno nella storia, della novità di Cristo è un tradimento, è un infantilismo, è una non risposta alla fede. E' un rimanere lontani …!
 
 
  • Fede che si fa cultura
Se a questo punto mettiamo insieme ciò che abbiamo detto di cultura e ciò che abbiamo detto della fede, la conclusione verrebbe da sola. La cultura cristiana ha una base, un diritto di cittadinanza, un reale orientamento. Innanzitutto:
 
a)”La coltivazione cristiana dell'uomo” . Gesù è l'uomo perfetto. In Gesù l'uomo ritrova tutto se stesso. “Solamente nel  mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell'uomo” G. et S. n. 22 “Chi segue Cristo uomo perfetto diviene più uomo”. Allora è chiaro che l'autentica coltivazione dell'uomo è la coltivazione cristiana dell'uomo. Dobbiamo tutti ricordare che, secondo la parola di Gesù, il vero e unico coltivatore dell'uomo è il Padre. Giov. 15,1. Ogni altra cultura prescindendo dal Padre è almeno riduttiva o parziale o arbitraria o manipolante. Anche la coltivazione cristiana si avvarrà, come nella concezione classica, del bello, del giusto, del vero; anzi, questi valori ci conformano  a Cristo che sintetizza e riassume in se ogni bellezza, verità, giustizia. Dunque ciò che gli antichi dicevano della cultura come coltiv. dell'uomo, noi, con la Riv. di Gesù, possiamo integrare rettamente dicendo: cultura è la coltivazione cristiana dell'uomo.
 
b) Il patrimonio spirituale cristiano ovvero la fede che diviene cultura. Nei 2000 anni di cristianesimo infiniti furono i contributi alla elevazione dell'uomo e moltissimi furono i frutti in letteratura, pittura, architettura, scultura, musica, op. sociali..! Questo è il nostro “tesoro di famiglia”. Abbiamo studiato le comuni origini cristiane d'Europa. Quanto si potrebbe dire per le opere, di ogni genere, create; opere che partivano dall'anima e diventavano un nutrimento inesauribile dell'anima. Questo è il nostro patrimonio, sono i nostri maestri, sono coloro che hanno tracciato la strada; noi dobbiamo prendere coscienza degli altissimi valori che ci hanno proposto e che hanno vissuto o che rimarranno perennemente vivi. Siamo i figli .. dobbiamo essere i continuatori. Ma attenzione: dobbiamo valorizzare anche tutto ciò che di bello, giusto e vero esiste fuori dalla nostra tradizione perché tutto ciò che vero, giusto e bello è riflesso di Dio.
Come gli Ebrei che nel lasciare l'Egitto si portarono con loro anche l'argento e l'oro degli Egiziani.
 
c) I mezzi per  la coltivazione cristiana dell'uomo.
La coltiv. crist. dell'uomo deve avere i mezzi per il raggiungimento dei propri compiti. Di fronte ad uno stato (Italia ma soprattutto negli stati a regime dittatoriale)  che vuole educare occupando spazi di vita e impadronendosi di strumenti di comunicazione e di socializzazione (in contrasto con il principio di sussidiarietà che è uno dei cardini di una concezione sociale che voglia fondarsi nella libertà e sulle responsabilità della persona) questo argomento è di eccezionale gravità. Alcune poche osservazioni:
  • non bisogna stancarsi di affermare il dovere dello stato di offrire a tutti i raggruppamenti  di cittadini (tra i quali c'è la comunità cristiana) la concreta possibilità di educare i figli secondo le proprie  fondamentali convinzioni. Chi ha dato la vita, ha il diritto inalienabile di presiedere al suo sviluppo intellettuale o morale. Lo stato italiano è, su questo punto, pesantemente inadempiente, da sempre, soprattutto per la legislazione scolastica che è statalista.
  • Far sì che il potere pubblico non imponga una propria cultura ma favorisca in tutte le maniere le culture di tutte le libere aggregazioni.
  • Le comunità cristiane, pur nelle loro estrema povertà, devono darsi da fare per la sussistenza, la crescita, l'affermazione della loro cultura, in tutti i modi che una fantasia stimolata della fede è in grado di escogitare. Il “samizdat russo” ci insegni!!
La fede che genera cultura -novità radicale- che genera il mondo nuovo.
d) Un dibattito attuale. Si dice: siccome non esiste più la cristianità che era viva e presente nel medioevo, oggi non si deve più parlare di cristianità; è improponibile! Ma solo di “presenza  molecolare”. Una presenza molecolare di cristiani nel sociale. E' vero che oggi dobbiamo formare delle forti personalità che agiscano nel sociale; è vero che vi possono essere cristiani in tali ambienti secolarizzati per cui non si può attuare, da parte di questi se non una presenza molecolare; ma non è vero che oggi non si debba costruire comunità che è la logica conseguenza della fede - novità di vita, mondo nuovo. Almeno tre osservazioni a difesa di un popolo di Dio, popolo alleato percepibile, visibile, sperimentabile.
La prima è di indole storica. Le prima comunità a Gerusalemme, negli Atti sono vere e proprie cristianità. Avevano forme di vita tipiche e inconfondibili. Non c'è epoca storica che non abbia avuto questi “segni” radiosi. Lettera a Diogneto.
La seconda è di ordine psicologico pastorale: l'uomo tende per sua natura a socializzare. Ciò che non è socializzato, non  è visibile non ha rilevanza. Solo qualche intellettuale può, forse, continuare senza la mediazione di una comunità. Ma solo la comunità ti spinge a rimanere fedele ai tuoi ideali. La comunità visibile è punto di riferimento, sostegno, mezzo di risveglio e continua valorizzazione e personalizzazione.
La terza è di ordine teologico : l'avvenimento che fa comunione tra gli uomini tende instancabilmente a farsi “comunità” cioè realtà collettiva, contingente, storicamente determinata. E' la oggettiva presenza di Dio. E' la continuità, nella storia, di Gesù! E' la Potenza di Dio nella storia. L'atto di fede come risposta a Dio o arriva a tanti o non è atto di fede vera! In nessun momento della storia la Chiesa può rinunciare a essere comunità, cristianità visibile! Siccome i tempi mutano  sarà da vedere in che modo, in questo tempo, noi possiamo essere cristianità, testimoniare comunitariamente. E' la nostra cultura! Ci si coltiva e si coltiva l'uomo e il mondo! “Crederanno in me se sarete una cosa sola”. Cristianità-comunità minoranza sì ma presente, viva, dinamica. Allora il rilancio della cultura cristiana è il rilancio di una comunità cristiana con tutta la sua novità di vita dettata soprattutto dall'amore!
Se tutto ciò è valido la comunità avrà pure una scala di valori. Possedere e vivere una scala di valori porta necessariamente a conflitti e a scontri. Ci si allieta per le concordanze che si possono trovare anche in chi non crede ma molte di più sono le dissonanze. Noi non dobbiamo né vogliamo imporre a nessuno, né con la forza né con l'astuzia, la nostra cultura, la nostra visione dell'uomo, del mondo, dell'al di là ecc. la nostra gerarchia di valori; ma non possiamo accettare che altre culture ci proibiscano, snaturino ci impediscano di essere, crescere come presenza, come comunità con i suoi valori. Ma dobbiamo lottare, non per imporre ma per presentare la vita cristiana, la cultura cristiana ovunque e comunque  perché liberante e valorizzante l'uomo di ogni tempo.
Conclusione.
La fede, restando fede, deve farsi cultura: lo deve a se stessa alla radicalità e alla totalità del rinnovamento che introduce nell'uomo e quindi nell'universo. Essa non sopprime e non mortifica nulla ma tutto assume o purifica in una cultura che è nuova e diversa, che sempre si rifonda e si arricchisce; tutto assume e purifica e trasfigura in cultura cristiana… che diviene pure… comunità cristiana, cristianità.