Dio è carità nel Figlio
"Rimanete nel mio amore".
 
Meditando la preghiera che Gesù pronunciò nell'ultima cena, scopriamo come Egli abbia implorato il Padre nel contesto del rendimento di grazie, perché gli uomini imparassero ad amarsi ad immagine del rapporto che intercorre tra Lui e il Padre stesso. Decidere di voler vivere nella carità significa evidenziare il progetto di inserimento vivo nel dinamismo che caratterizza il rapporto tra il Padre e Gesù. Ne consegue che la nostra carità è essenzialmente una partecipazione della vitalità che unisce queste due Persone divine. Se ci poniamo la domanda: "Perché amiamo?" La risposta è certa: "Amiamo perché siamo stati resi partecipi, non solo come uomini, ma soprattutto come cristiani, del dinamismo d'amore che caratterizza il Padre e il Figlio". Essendo uniti profondamente al Figlio noi partecipiamo della comunione con il Padre. Quindi in noi continua la capacità d'amore del Padre... se noi permettiamo..! La nostra vita dovrebbe essere una continua attualizzazione di ciò che dice la prima lettera di Giovanni: "quello che abbiamo visto, toccato, udito lo comunichiamo a voi perché la nostra comunione è con il Padre, il Figlio suo Gesù Cristo”. È l'esperienza che, in altro linguaggio, ci presenta ancora Giovanni nel discorso dell'ultima cena: "Rimanete nel mio amore." Siamo entrati nella corrente Trinitaria, nel momento in cui abbiamo conosciuto il Cristo... e dobbiamo vivere l'amore - rimanere nel suo amore!
La nostra vocazione è dunque l'amore! E vivere nell'amore è vivere nella Trinità, in Dio! "Se uno mi ama, verremo...". Se noi vogliamo vivere il nostro dinamismo d'amore dobbiamo rimanere in Cristo, radicarci ogni giorno in Lui, non stancarci di essere uniti intimamente a Lui. Nel momento in cui ci dimenticassimo dalla volontà di Gesù, di vivere in Lui, con Lui, per Lui, la nostra vocazione diverrebbe irrealizzabile. Il Cristo, attraverso noi vuole continuare ad amare, ha le nostre mani, il nostro volto, la nostra voce, il nostro tempo e la sua missione è offrire l'amore del Padre ai fratelli attraverso noi. (È difficile credere in Dio con tante brutture... ma è anche difficile non credere..! Lo rende più possibile la presenza d'amore, il Figlio che continua ad amare attraverso noi...). Per poter sviluppare questo potenziale, dobbiamo realmente rimanere in Cristo. Rimanendo in Lui (coscienza, meditazione, imitazione ecc.) ci rivestiamo dei suoi atteggiamenti, gesti, assumiamo la sua sensibilità, manifestiamo il suo modo di conoscere, di pensare, di amare. Far emergere l'amore teologale è veramente avere la sensibilità del Figlio. Chi vuole vivere la carità ha come principio operativo... tutto ciò che è Cristo..! E' imitatore di Dio, è immagine e somiglianza che si avvicina, si concretizza, si rende visibile, dinamica ovunque. Brucia..!
 
2 Con Cristo perdersi in Dio e cercare il suo volto.
Se guardiamo ai santi - Cottolengo ecc. - scopriamo che quando uno entra nella carità teologale, non si possiede più ma è un posseduto che fa brillare nello specchio della sua povertà il mistero stesso della profonda vitalità di Dio. Da questo punto di vista è disposto a perdere, come Cristo, anche la sua vita. (Leggevo su Gente - giugno 84 il dramma di Giuseppe Massara, fratello laico dei comboniani, missionario a Kartoum e organizzatore delle varie missioni nel Sudan... frustate... quasi morte - per te Dio mio!) Colui che vive dell'amore ed è profondamente radicato nel mistero stesso di Dio, in Lui ritrova il significato della sua esistenza, è uomo libero, non ha paura di perdere nulla perché la sua vita è già immersa in Dio. A questo punto se vogliamo sinceramente amare dobbiamo prendere la decisione di ricercare ogni giorno il volto di Dio. Cioè identificarci, far sì che la nostra vita coincida con la profondità di Dio. Questa ricerca, questo sforzo legati ad un misterioso dialogo segnalerà il Suo amore! Perché ciascuno di noi possa giungere a dire: "non sono io che amo ma è Dio che in e ti ama", importa proprio un processo continuo di identificazione! E in questo campo non si può vivere di rendita, o semplicemente aver capito: è risultato di lotta quotidiana. Amare è un cammino giornaliero per divenire Dio, l'Altro infinito. È qui ancora che abbiamo bisogno di credere, di sperare..! per ritrovare il coraggio di amare. Quando certe situazioni diventano pesanti, facilmente ci chiudiamo in noi stessi, sentiamo il peso del fallimento. Non sapevo che strada prendere; quando le delusioni della vita, sia a livello personale che comunitario e apostolico si moltiplicano ed avvertiamo tragicamente la tentazione della delusione che può farci ripiegare su noi stessi, dobbiamo allora recuperare la volontà di amare in modo infinito, come amerebbe Dio: fede-speranza! La fede, la speranza nel sapere di essere amati, dà le ali ai piedi! e ci si incammina verso la piena realizzazione della propria vocazione, di se stessi.
 
3 La nostra grande meta.
Si evidenzia così davanti a noi la vera meta della carità: Dio entra veramente in noi nel Cristo (Io in loro e tu in me Giov. 17,23) e ci ama e amiamo e ci amiamo. È il mirabile destino di colui che ha accettato di vivere il dinamismo dell'amore.
L'amore del prossimo non sarà nient'altro che una continua scoperta della grandezza dell'amore di Dio e della presenza di Dio nei fratelli. Se riusciamo a collocare questa tesi a fondamento della nostra vita, nascono alcune conseguenze estremamente importanti. Esse sono:
1) Identificarci continuamente con la volontà di Dio. Fare la volontà di Dio è la carità in azione. Fare la volontà di Dio non è semplicemente fare qualcosa ma amare la situazione storica come la amerebbe Dio. Fare la volontà di Dio non è più qualche cosa di estrinseco che assumiamo e tiriamo avanti; amare la volontà di Dio è far divenire Dio in noi. Quando nella povertà della nostra esistenza discutiamo tanto su una ipotetica volontà di Dio (le vocazioni...) in quel momento si evidenzia quanto il nostro amore sia debole e incerto. La carità è lasciare amare Dio.
2) La carità è far regnare Dio in noi. Non esiste nella nostra vita alcun Signore se non Dio stesso. Tutto parla di Dio, tutto è richiamo di Dio, tutto è comunicazione di Dio. Dio è il Signore di tutto quello che facciamo. Certo, per me uomini tanto distratti, vivere in questo modo il mondo diventa a volte un'esperienza quasi utopistica, eppure in Gesù dovremmo avvertire questa signoria di Dio. Dio è il nostro Signore e lo è perché il suo amore è il principio operativo delle nostre azioni, è principio unificante di tutti i nostri comportamenti. Ciò che fa, ciò che costituisce la nostra vita, che la caratterizza, è quest'esperienza teologale.
3) La carità è glorificare il nome di Dio in ognuno di noi. L'uomo che ama diventa un inno all'amore ineffabile di Dio. Quando l'uomo perde se stesso e lascia che Dio sia veramente l'unico Signore della sua storia, in quel momento la sua vita è un canto che il Signore accoglie perché parte della sua stessa azione. Se riusciamo a porci in questo cammino riusciremo a comprendere l'espressione che troviamo in Osea e che è ripresa da Matteo: conoscere Dio vale più di tutti i sacrifici. Vivere questo amore è adorare Dio, è ascoltare Dio e glorificarlo con tutto il nostro cuore. Gesù nell'ultima cena prega perché il nostro amore sia uguale a quello che Egli ha per il Padre e il Padre ha per Lui: perché la Chiesa possa veramente entrare in questa meravigliosa grande e ineffabile realtà e impari ad amare Dio nelle energie proprie di Dio. Rimaniamo dunque nel suo amore.