Senso di questi esercizi: presa di coscienza siamo la continuità del popolo dell'Antico Testamento. L'Antico Testamento è la nostra storia; il Nuovo Testamento ci dà la novità, ma nulla dell'Antico Testamento deve venir meno. Se le cose stanno così noi, oggi, siamo dei “chiamati”, “scelti”, “eletti”; siamo il popolo chiamato , eletto, alleato, con tutte le conseguenze legate a questa scelta e tutte le responsabilità. Tutto ciò è fonte di formidabile dinamismo! Le vocazioni particolari sono in funzione della vocazione di tutto il popolo!

In questa luce: le scelte fatte da Gesù Cristo sono le scelte che il popolo cristiano, “eletto”, “chiamato” deve fare.Questa è la nostra identità storica!

 

La vocazione di Israele secondo l'Antico Testamento

Premessa legata ai testi:

Nell'Antico Testamento gli eletti sono gli Israeliti, il popolo di Israele, da Dio chiamato, scelto fra gli altri popoli, ricolmato di ogni sorta di beni, salvato dall'oppressione egiziana e a Lui legato da un patto solenne. Esodo 19,4 ss.  Deut. 4, 37; 7,6 ss.

Nel Nuovo Testamento indica tutti i membri della Chiesa cristiana considerata come la continuità naturale del popolo di Israele; e significa precisamente “chiamati”.

2Tessalonicesi 2,13; 1Pietro 2,9

E questa scelta è fatta esclusivamente dalla gratuita volontà di Dio, non per le nostre opere o altro: Rom. 9,9-26

Da parte nostra la volontà di corrispondere alla grazia: Colossesi 3, 12-17 2Pietro 1-10

Lettura:Lumen Gentium cap.II

I primi cristiani ebbero coscienza di essere un popolo “chiamato”? Un popolo che non poteva inquinarsi con tante realtà ma evidenziare, in ogni circostanza, la sua appartenenza a Gesù Cristo?

Origene: il vero contributo dei cristiani alla società 500

Eusebio: la carità 643

Tertulliano: tenore di vita dei cristiani 645

Lettera a Diogneto: tenore di vita dei cristiani 369

Lettura

Giustino, S.Ignazio di Antiochia ecc.

Addentriamoci nella meditazione.

L'Antico Testamento oltre a presentarci un ben nutrito numero di chiamate individuali, ci presenta soprattutto la chiamata collettiva di Israele come un fatto che giustifica anche tutte le vocazioni individuali e ne danno un senso. Vediamo.

 

I°presa di coscienza progressiva della chiamata

Il popolo di Israele ha preso coscienza gradualmente che la sua storia era condotta da Dio; via via…ha preso coscienza sempre più chiaramente che una chiamata divina stava alla sua origine (è da intendersi anche per noi la stessa realtà). E questa presa di coscienza avviene soprattutto nel momento dell'esilio, momento di ripensamento, momento di sintesi. Quindi non è un fatto esterno che colpisce il sentimento e che potrebbe venir dimenticato come qualsiasi fatto storico che ci colpisce e si attenua…Se la chiamata è oggetto di una presa di coscienza progressiva (come potrebbe capitare a noi…) significa presa di coscienza della propria identità, della propria funzione nella storia, di qualcosa che è incorporata nell'esistenza stessa del popolo, un tutt'uno con il popolo, l'ontologia stessa del popolo. E questa scoperta, durante soprattutto l'esilio, Israele la compie meditando su tutta la propria storia alla luce della sua fede cresciuta in Dio, Salvatore. (avventura formidabile che auguro a tutti: in questi giorni di deserto, esilio…il senso della nostra storia, del cristianesimo alla luce della Rivelazione! Conseguenze storiche addirittura…fine delle vite vuote e della superficialità…)

Abbiamo detto: alla luce della fede. Sì, infatti; diversamente tutta la storia sarebbe rimasta come un insieme di tanti fatti senza un significato. Se è Dio a indirizzare la vera storia, questo essere interpretato solo alla luce della fede. Così quando il profeta Osea fa dire a Javhè: “dall'Egitto ho chiamato mio figlio” (11,1) egli interpreta alla luce della fede il grande evento dell'Esodo. Nell'uscita dall'Egitto vede la manifestazione della chiamata. Il semplice fatto non avrebbe detto nulla! E' la fede a fargli scoprire il significato. La chiamata è una realtà invisibile, di ordina trascendente e un popolo può discernerla solo avendo fede in Dio. E allora si scopre che la vocazione di un popolo come del singolo è qualcosa ch ti porti all'interno tuo da sempre e da sempre ti orienta e ti trascende. Così fu per Israele.

 

II° La vocazione come atto sovrano di Dio

Quando Dio chiama, dimostra: è Lui che prende l'iniziativa e ha la sovranità assoluta nell'elaborazione del destino. Così è stato per Israele. E' Lui che dà inizio alla storia. La storia prima di essere un gesto dell'uomo è un  gesto di Dio. E' Lui, sovrano, prima di tutto e tutti; è la priorità totale di Dio che dispone tutti gli avvenimenti.

Questa priorità è affermata in maniera concisa, ma decisa in una formula del II° Isaia. Ecco come Javhè dichiara la forza della sua chiamata: “Ascoltami, Giacobbe, Israele che ho chiamato: sono io, io solo, il primo e anche l'ultimo”. 48,12. E per far comprendere che la parola “primo” va intesa nel suo significato più assoluto, Javhè aggiunge che egli è il creatore del cielo e della terra: tutti gli esseri devono l'esistenza alla sua chiamata: “Quando il li chiamo, tutti insieme si presentano” (48,13).

Per mostrare a qual punto Egli è il primo nella chiamata, Dio descrive la creazione come la chiamata primordiale e come una chiamata che si prolunga… Nulla dunque preesisteva alla chiamata fatta da Dio: la chiamata rivolta a Israele è dovuta al primato sovrano di Dio (quanto c'è da contemplare…è un esercizio necessario per ritrovarci come creature chiamate…). E, a questo proposito, un secondo motivo di contemplazione: Dio il primo e l'ultimo cioè non solo colui che dà inizio ma colui che porterà a termine ciò che inizia con noi o altri (verranno dall'oriente e dall'occidente e il popolo eletto…). Nulla può impedire che la chiamata produca il suo effetto; è Lui che assicura alla chiamata la sua riuscita (48,15); la chiamata diviene così manifestazione dell'irresistibile sovranità divina. (Popolo di Israele, esiliato…chiamato…perché potesse essere…)(così per la Chiesa , popolo di Dio oggi…).

La priorità di Dio è soprattutto attestata dal fatto che la chiamata è rivolta a Israele fin dalla sua prima origine, dalla sua costituzione in popolo. Rifacciamoci alla dichiarazione che Osea attribuisce a Javhè: “Quando Israele era giovanetto io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio” 11,1.

Che significa? Che la chiamata è rivolta a Israele precisamente nel momento in cui si formava come nazione e veniva all'esistenza “come popolo a parte” tra gli altri: alla sua uscita dall'Egitto. Isaia vede questa origine ancora più lontana, la chiamata di Abramo. “Guardate ad Abramo vostro padre. Egli era solo: quando l'ho chiamato; ora l'ho benedetto e l'ho moltiplicato (51,2). La chiamata di Abramo è l'esordio della chiamata di Israele: e qui facciamo un'altra sorprendente considerazione: la chiamata di Israele coincide con la sua chiamata all'esistenza; il che significa: è la chiamata a provocare la nascita del popolo; in altre parole, nel piano divino, Israele esiste a motivo della sua vocazione. La sua chiamata giustifica la sua esistenza . (come a dire: la nostra chiamata ad essere popolo suo giustifica la nostra esistenza! Diversamente non ci sarebbe stato motivo per la nostra, la sua, di Israele, esistenza. Nel N.T. : sole della terra…)

E qui si approfondisce ancora di più la meditazione: alla luce di quanto abbiamo detto la sovranità e il primato di Dio nella chiamata non possono manifestarsi in una forma più assoluta: la chiamata non si condiziona al fatto che esistiamo, ma la chiamata è antecedente all'esistere e dà l'esistenza e il senso dell'esistenza.

E' Dio e il suo piano ad avere una anteriorità cronologica e ontologica  e da qui parte la chiamata e, quindi, l'esistenza. E questa sovranità di Dio si svolge nella storia indipendentemente da tutte le qualità e da tutti i titoli che, sul piano umano, potrebbero giustificare una vocazione. Il popolo di Israele non può affatto attribuire la sua chiamata alla sua eccellenza; non è mai stato un popolo molto potente o più numeroso di altri…e , nel momento della chiamata, si trovava in Egitto in una situazione sfavorevole per la sua realizzazione come popolo.

La onnipotenza divina si rivela proprio qui e a questo punto: un popolo né degno né capace; nella debolezza di questo popolo Javhè dimostra la sua grandezza. E neppure per qualità morali Israele eccelle: “Più li chiamavo, più si allontanavano da me” Osea 11,2. I disordini del popolo di Israele sono frequentemente presenti nelle denunce dei profeti. Popolo chiamato nonostante i peccati. Ciò dimostra che la chiamata è completamente gratuita.

Tale gratuità indica il carattere soprannaturale della chiamata: non è solo chiamata all'esistenza… ma chiamata ad una missione, ad una vocazione.

Da ultimo, la sovranità di Dio si manifesta nella vocazione per il fatto che la chiamata è nello stesso tempo una scelta, una elezione: è Dio che sceglie liberamente.

Deut.7,7 : è ribadita l'indipendenza di Dio, la sua libertà di fronte a titoli, prerogative ecc. a tutto.

 

III La vocazione come atto di predilezione divina

L'origine della chiamata si trova in un atto di amore da parte di Dio. E' il passo di Osea 11, 1 ricordato prima.

L'amore precede la chiamata e si manifesta in essa. Il motivo della scelta di Dio sta nell'amore. In Deut. 7,7 dopo aver affermato che Israele è stata scelta non per…in 7,8 afferma: “ma perché il Signore vi ama”; e soggiunge che la liberazione del popolo dalla schiavitù d'Egitto ebbe per causa, oltre a questo amore, la fedeltà di Javhè al giuramento che egli aveva fatto ai padri della nazione (7,8). Anche questa fedeltà ci fa risalire all'amore iniziale che Javhè ha testimoniato ai patriarchi: “perché ha amato i tuoi padri e scelto la loro posterità, ti ha fatto uscire dall'Egitto” (4,37)

Nell'amore ai padri si giustifica la scelta del popolo.

Perché dunque Israele è stato scelto fra tutti? Una sola risposta: l'amore di Javhè! Dunque la chiamata si fonda sull'amore divino e, questo amore, è la ragione profonda, più illuminante  e più soddisfacente per noi, sulla realtà della vocazione.

Il principio di prima, sovranità di Dio, pur essendo molto importante, può soddisfare meno profondamente, perché potrebbe significare, per qualcuno, un potere arbitrario che pesa anche a detrimento. Se invece Dio pone la sua sovranità nell'amore, ogni prospettiva sfavorevole è superata; tutta la forza del potere divino si traduce in un amore più grande e l'atto della chiamata non è fatto che di amore.

L'amore mostra in qual senso è esercitata l'onnipotenza di Dio e fa scoprire il significato fondamentale della vocazione. La vocazione di Israele è legata a questa intimità amorosa , a una conoscenza affettuosa.

La nota di intimità di amore è suggerita dall'espressione : “chiamare per nome”. L'affermazione di Isaia: “ti ho chiamato per nome” (43,1) risuona come una dichiarazione di amore. Poco dopo Javhè ribadisce la forza di questo amore: “Perché sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo” (43,4).

In realtà l'atto di chiamare qualcuno per nome indica una volontà di familiarità: è l'invito rivolto a uno che si conosce e si stima.

In questa chiamata per nome si rivela il carattere personale della vocazione: anche se si tratta di una comunità, essa è vista e trattata come una persona.

E all'amore che non può essere se non eterno Jahvè aggiunge la garanzia: dichiarando il suo amore per Israele aggiunge subito: “Non temere perché io sono con te”.

La permanenza dell'amore divino nella chiamata comporta due conseguenze: la familiarità con Dio e un aiuto efficace, un sostegno incrollabile nell'attuazione della vocazione del popolo eletto.

 

IV. La vocazione nel suo effetto immediato: la consacrazione

Dobbiamo ancora dire che cosa la vocazione produce e crea in colui che l'accoglie, nel popolo che l'accoglie e scopre…

L'effetto immediato della Parola divina è di rendere Israele proprietà del Signore: “Ti ho chiamato per nome: Tu mi appartieni” dichiara Javhè (Is. 43,1). Anche là dove si afferma: “Ti ho chiamato dall'estremità della terra, … tu sei mio servo”, ha lo stesso significato. L'appartenenza assoluta al Signore fa di Israele un popolo santo. In Deut. 7,6 parla dell'elezione di Israele specificando che tutto ciò significa essere popolo a lui riservato: “Tu sei un popolo consacrato al Signore”.

Qui la meditaz. diventa estremamente personale e problematica perché la consacrazione implica una separazione, come il sacro è messo a parte dal profano: “Ecco un popolo che dimora solo e non si annovera tra le nazioni” (Nm 23,9).

La chiamata coglie Israele tra gli altri popoli, ne fa una nazione separata la cui caratteristica è appartenere esclusivamente a Dio ed essere santa allo stesso titolo di tutto ciò che appartiene immediatamente al Signore. Tale consacrazione riceve, per così dire, il suo sigillo ufficiale nella conclusione dell'Alleanza, Israele è chiamato in vista dell'Alleanza… ed entrando in essa diventa solennemente un “regno di sacerdoti e una nazione santa diventano proprietà del Signore” (Es19,5-6).

La santità del popolo, conseguenza della sua vocazione, è una santità oggettiva, qualità ontologica, indipendente dalle disposizioni soggettive degli individui: il popolo è e rimane

Santo, qualunque siano gli smarrimenti di cui si rende colpevole. (grande nostra responsabilità…non vivere di conseguenza =)

Infatti la consacrazione esige una risposta, una condotta conforme; per Israele implica gli obblighi formulati nel giuramento dell'Alleanza, gli obblighi, le leggi, la volontà (Deut. 7, 6-11). La comunità dunque è santa per principio ma deve tradursi, con volontà, nell'osservanza dei fatti…comandamenti…consigli…

In questa consacrazione è da vedersi l'assoluta fedeltà divina: da Abramo, Egitto…Gc …confessione: in tutto ciò la fedeltà divina è irreprensibile: a confronto i nostri smarrimenti, tradimenti, voltafaccia: siamo colpevoli, ma ci sbalordisce il fatto che, per il giuramento fatto da Javhè ancora oggi Dio non ci abbandona e, non solo perdona ma sfrutta il nostro peccato per accrescerci in santità. A Lui apparteniamo, non ci lascia nel vuoto…

 

V. La missione inclusa nella vocazione   

La vocazione ha come obiettivo una missione di Israele nel mondo. A che cosa chiama Israele? “Voi siete miei testimoni” dichiara Javhè (Is 43, 10). “Ecco, io ti ho costituito testimonio tra i popoli…ecco tu chiamerai una nazione che no conoscevi, accorreranno a te popoli sconosciuti…” (55, 4,5). Attraverso la testimonianza di Israele, la fede in Javhè si diffonderà nell'universo; mediante il popolo eletto il Signore estenderà il suo dominio su tutte le nazioni.

La giustificazione della consacrazione allora? Perché popolo eletto? Una missione che riguarda il mondo intero! Una missione verso tutti i popoli che riceveranno così la fede nel Dio unico. Il destino dell'umanità sta nella chiamata -risposta di Israele (destino della nostra città…). La vocazione deve dilatarsi nel diventare vocazione di tutti i popoli. La nostra chiamata è per la chiamata di tutti.

Rapportato a noi = non c'è cristianesimo anonimo, superficiale, solo con l'aspetto sociale, politico, secolarizzato o un cristianesimo nascosto che si confonde con tutti gli uomini di buona volontà.

Scelti, testimoni, chiamati per chiamare!