Esercizi Spirituali
Un cammino di fede
La storia di Bakita ha i colori di una fiaba. E' la storia di una bimba che viene dal nulla. Rapita, infatti, in tenera età, dimentica tutto: il nome del padre, della madre, del proprio villaggio e perfino il proprio nome oltre all'età. I rapitori, per dileggio, la chiamarono Bakita: fortunata. Ma fortunata fu veramente come ogni creatura che viene presa direttamente per mano da Dio e condotta per strade imprevedibili. Bakita ha percorso tutte le tappe dell'esperienza cristiana prima di conoscerla: la povertà, la docilità, l'umiltà, la croce fino al calvario. Il battesimo fu lo sbocco coerente di un cammino iniziato lontano e che si è concluso il 17 maggio di quest'anno nella gloria del Bernini con la beatificazione proclamata da Giovanni Paolo II. Assorbito il trauma del rapimento, incominciarono a riaffiorare, nella coscienza di Bakita, alcuni vaghi ricordi. Ricordava un villaggio nella regione occidentale del Sudan ai confini con il Ciad. C'erano parecchi villaggi tutti uguali, con capanne di fango e paglia disposte all'interno del grande albero sacro con la capanna degli antenati. Ricordava i giovani guerrieri che ricorrevano alle armi solo se attaccati ed era un popolo seminomade alla ricerca dell'acqua soprattutto per gli animali. Poi il padre si era trasferito a Niala. E qui ebbe l'esperienza della serenità e semplicità della sua famiglia! Dirà un giorno: “potessi ritornare a Nyala”! La sua famiglia era composta di padre, madre, tre fratelli e tre sorelle. Lei e l'ultima sorella erano gemelle. Lo zio paterno era il capotribù. Ma chi comandava veramente nel villaggio era lo stregone. Faceva di tutto! Di fronte alle disgrazie che, nonostante le sue magie colpivano la tribù, per salvare il suo prestigio denunciava i peccati della tribù ed esigeva riparazione,anche con sacrifici umani che eseguiva personalmente. Allora il terrore scendeva nel vilaggio! Bakita viveva in questo mondo e subiva tutta questa realtà, ma nello stesso tempo sentiva una presenza superiore. presenza di qualcuno di superiore, di misterioso. Ed è a questo che voleva prestare omaggio.
Un motivo di paura per tutti era rappresentato dai rapitori dei bambini e dei giovani, sequestrati per essere venduti nei mercati ai mercanti di schiavi. A quell'epoca era stata proibita la schiavitù ma questa piaga continuava lasciandosi dietro lunghi strascichi di pianti, lutti, disperazione, dolore. Bakita era ancora piccola quando avvenne una razzia nel suo villaggio e venne rapita sua sorellla maggiore. Gli uomini erano nei campi e quando lo stregone battè il tam-tam ritornarono di corsa ma non fecero a tempo a bloccare i razziatori. Li inseguirono per tutta la notte ma erano scomparsi. Bakita provò profondo sgomento e, quando anche lei verrà rapita, sperò per anni di poter ritrovare la sua sorella mai dimenticata. Il rapimento di Bakita avvenne qualche mese più tardi. Forse aveva sei anni. Con il permesso e la racomandazione della mamma era uscita dal recinto del villaggio con un'amica per raccogliere fiori. Ad un tratto sbucarono dall'erba alta due uomini che chiesero alle due bimbe il favore di andare e prendere....che avevano dimenticato. Generose corrono ...e si ritrovano i due uomini che misero una mano nella bocca e il coltello davanti agli occhi e li obbligarono a seguirli. La volontà di urlare morì in gola. Camminarono a lungo per luoghi sconosciuti, del resto le lacrime le impedivano di vedere.
Stanca, i piedi che sanguinano..un tugurio.. pane e acqua. Ma non riesce a trangugiare nulla. “Ricordo ancora quelle ore angosciose quando, stanca di piangere, cadevo sfinita al suolo in un leggero torpore mentre la mia fantasia mi portava fra i miei cari, lontano, lontano...” Dopo circa un mese venne comprata da un mercante di schiavi. Si ritrovò in viaggio in compagnia di altri schiavi. Il gruppo andava crescendo di villaggio in villaggio. Gli uomini erano legati con le catene al collo che procuravano loro orribili piaghe e portavano pesi. Di notte la catena l'avevano alla caviglia. Anche i bambini avevano i sorveglianti aguzzini. Per un nonnulla gridavano, picchiavano, frustavano questi poveri fanciulli... Bakita assistette a scene terrificanti: un bimbo, che piangeva per la fame, fu sfracellato contro i sassi ai margini della pista e la madre, che reagì disperata fu uccisa a bastonate. Un povero negro che non ce la faceva più a seguire i compagni, fu eliminato senza pietà. Come e quanto impressionarono la bimba questi fatti così bestiali. Incominciò a imparare che uno schiavo non conta nulla, non ha diritti, non ha nessuna difesa e un solo capriccio può decidere la sua sorte. Giunsero finalmente ad un piccolo mercato di schiavi. Qui riusciranno a fuggire. Ma dove andare? Quale direzione prendere. Paura, fame, e vita sugli alberi per paura delle fiere. Una sera nella savana... gli occhi fosforescenti di una belva. Era la fine.. ma improvvisamente una figura luminosa che tendeva le braccia alle due fuggiasche e la belva si ritrasse. Ripresero il cammino. Finalmente una capanna...accolte da un finto amico che intuì il tutto..le sequestrò e nel giro di qualche giorno le aveva già vendute ad un nuovo mercante.
Vennero portate al mercato di El Obeid. Era l'anno 1880, vendute ad un padrone che vedendole giovani e carine le volle comprare per farne un regalo alle sue figlie. Bambole vendute per i capricci più strani di due padroncine. Invidiate da altri schiavi per la posizione..e Bakita si affezionò alle sue due nuove padrone. Ma dovrà presto accorgersi che l'affetto non era ricambiato. Lo schiavo non può avere affetti. Il fratello delle due padroncine non lasciava passare momento senza umiliarla pesantemente. Un giorno mentre trasportava un vaso inciampò e cadde con il vaso che andò in frantumi. Il fratello le fu sopra con lo scudiscio e incominciò a battere...scappò dalle padroncine per avere protezione, ma quelle la riconsegnarono al fratello per essere punita e venne falagellata a sangue sotto lo sguardo divertito dellle padroncine. Ci volle più di un mese per guarire... ma la ferita dell'anima era ben più profonda. Delusa nel profondo: non aveva diritto a nessun sentimento, non aveva diritto ad essere ricambiata per il suo affetto, non poteva essere amata, non aveva nessun diritto..non a difendersi e neppure ad avere un vestito! Il vestito era solo per gli uomini liberi!
Le padroncine la rifiutano e la mettono con le altre schiave che la maltrattano per i privilegi di prima ma lei  si mette, con grande dolcezza e umiltà, al servizio delle altre schiave. Poi viene ancora venduta e, questa volta, ad un generale turco. In tutto quel periodo di tempo aveva tentato di incontrare la sorella...ma inutilmente. Guardava la lunga fila di schiave che passavano, ma inutilmente.
In  casa dell'ufficiale turco cadde dalla padella alla brace. Fu messa al servizio della moglie e della suocera, due megere che gioivano nel farla soffrire. La comandavano a frustate .. e lei non sapeva più cosa fare per accontentarle. Così pure l'ufficiale, irascibile, per tutto la copriva di botte. Oppure faceva frustare le schiave dai suoi soldati e si riteneva soddisfattto solo quando le vedeva cadere piene di sangue e prive di sensi. Una schiava, per lui, era solo una bestia. Non poteva essere donna! Solo un animale da fatica. Quando si accorse che a Bakita stava spuntando il seno, racconta lei stessa, “egli mi prese con forza le parti sporgenti del petto e cominciò a storcerli come se fossero panni lavati. Io svenni e per quel giorno fui lasciata stare. Ma il giorno seguente e nei giorni successivi tornò alla carica. i padrone torceva questa mia carne così già tanto martoriata e io non dovevo gemere altrimenti sarei stata frustata. E un bel giorno venne in mente alle megere di fare un tatuaggio alle più giovani come segno di proprietà. E'ancora lei che racconta: venne una donna esperta in questa crudele arte. Ci conduce sotto il portico e la padrona dietro con lo scudiscio in mano. La donna si fa portare un piatto di farina bianca, uno di sale e un rasoio. Ordina alla prima di noi tre di stendersi per terra e a due schiave di tenerla una per le braccia e l'altra per le gambe. E allora si curva su di lei e comincia con la farina a fare sul ventre di quella disgraziata una sessantina di segni fini. Io ero lì con occhi sgranati a osservare pensando che dopo sarebbe toccata anche a me quella sorte crudele. Finiti i segni prende il rasoio e giù tagli su ogni segno che aveva tracciato. La poverina gemeva e il sangue stillava da ogni taglio. Non basta, finita questa operazione prende il sale e con tutta la forza stropiccia ogni ferita perchè vi entri a ingrossare il taglio onde tenere i labbri aperti. Che spasimo, che tormento. Tremava tutta l'infelice e io tremavo, aspettandomi purtroppo altrettanto. infatti, portata la prima al mio giaciglio, viene il mio turno. Non avevo fiato di muovermi ma uno sguardo fulmine della padrona e lo scudiscio alzato mi fecero piegare immediatamente a terra...Così inizia ...mi pareva di morire. Immersa nel sangue fui portata sul mio giaciglio e persi i sensi! Per più di un mese con le ferite aperte..non so come mai non sia morta..il Signore vegliava e attendeva! Fu il periodo più duro della mia vita...ma non riuscii ad odiare! Che cosa poteva aspettarsi una povera negra nata per servire e per soffrire? I padroni devono comandare, divertirsi...e noi soffrire, nati per soffrire.
Un giorno dirà: “Poveretti, forse non sapevano di farmi tanto male. Così abituati a farlo..non si accorgono più. E arrivava a questa conclusione: “ se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciar loro le mani perchè, se non fossse accaduto ciò, io non sarei cristiana e religiosa (formidabile osservazione: ciò che si dice nel salmo: “vale più la tua grazia che la vita”. Nel 1883 il generale turco dovette rientrare in patria e dovette vendere i suoi schiavi. E' qui che appare il commerciante Callisto Legnani di menaggio, diventato agente consolare in Sudan in quegli anni . Amico delle missioni, sensibile alle sofferenze, ogni qualvolta notava bimbi schiavi li comprava per ridare loro la libertà. Vide un giorno Bakita e, saputo che era in vendita, non esitò un momento e la comprò. Il giorno seguente il generale ordinò a Bakita di seguire la governante del del console portando un pacco. La donna le sorrise e le rivelò di aver cambiato padrone. Le disse: “il console è molto buono, ti troverai bene e non dovrai più soffrire! figlia mia!” Bakita sentì allargarsi il cuore ma stentava a crederle. La donna non la condusse subito a casa, la portò prima al mercato, comprò un abito bianco, una cintura scarlatta e la fece indossare a Bakita. Credeva di sognare. Davanti alla villa c'era la bandiera tricolore e sentì per la prima volta parlare di Italia. Potè lavarsi e mangiare a sazietà. Le diedero un lettino, un vero letto, come quello dei padroni e la notte dormì a lungo. Quando si  svegliò il sole era già alto e corse fuori angosciata, temendo di essere punita. E invece la signora le aveva preparato la colazione e sorrideva contenta di vederla riposata. Le disse che l'aveva lasciata dormire apposta perchè ne aveva bisogno.Trovò tutto strano nel comportamento del console e governante: non la sgridavano mai, mai una punizione, le sorridevano e, cosa inaudita, le chiedevano “per favore”  cosa ...E sopratutto sembrava che gradissero il suo affetto! Nel 1884 scoppia la rivoluzione in Sudan e il console deve ritornare in Patria. E qui Bakita, punta i piedi, diventa irremovibile, vuole partire con loro, non c'è modo di farla ragionare (Dio all'opera!)
Arrivati in Italia il console, non avendo famiglia, affida Bakita alla famiglia Midieli, famiglia veneta. E' un avvenimento per la zona: mai nessuno aveva visto una negra.
Intanto alla famiglia Midieli nasce una bimba e Bakita sarà la sua seconda mamma. Con questa bimba impara le prime preghiere cristiane e incomincia ad amare il Signore. Inizia qui la sua formazione religiosa presso l'istituto dei catecumeni di Venezia. Nel frattempo la rivoluzione è terminata e i Midieli che avevano possedimenti in Sudan decidono di andarvici. Qui, per la prima volta, Bakita si rifiuta. Strana insistenza misteriosa. Andava ripetendo: “mi dispiace Signora, io resto qui. Se tornassi in Africa non potrei più amare il Signore”. Resistette ai pianti della figlioccia...alle accuse di ingratitudine. Ero rattristata per tutto questo, perchè volevo davvero bene a questa famiglia, soffrivo eppure nonostante tante ragioni nessuna mi piegò.
Il 9 gennaio 1890 Bakita riceve il Battesimo. Poi la Cresima e l'Eucarestia. Era felice. Ma un pensiero incominciava a farsi strada in lei: lei, schiava liberata, voleva diventare schiava volontaria di Colui che l'aveva liberata. “Dio è il mio solo e vero padrone”.
E' certo che il cammino interiore di Bakita fu di una limpidezza mai inquinata. Anche quando era animista, anche nel periodo più duro della sua schiavitù, ciò che colpisce in Bakita è la sua completa innocenza. E' evidente che Bakita ha amato Dio prima di conoscerlo. “Anche nei momenti più brutti non mi sono mai disperata perchè sentivo dentro di me una forza che mi sosteneva”.  Il Signore, dal canto suo, l'aveva protetta e aiutata: “io sono stata in mezzo al fango, ma non mi sono imbrattata...per grazia di Dio sono stata preservata...la Madonna mi ha protetta, nonostante che io non la conoscessi. In varie occasioni mi sono sentita protetta da un essere superiore. Un giorno le venne regalato un crocefisso. Io non sapevo che cosa fosse, ma spinta da una forza superiore lo nascosi per paura che la signora me lo prendesse. Prima di allora non avevo nascosto nulla perchè non ero attaccata a nulla. Mi ricordo che nascostamente lo guardavo e sentivo una cosa in me che non sapevo spiegare.
Imparò il Pater, l'Ave, il Gloria..”.senza capire le parole sentivo una dolcezza nell'anima nel ripeterle, e non mi limitavo a recitarle in camera mattina e sera ma le ripetevo più volte al giorno, perfino per la via e nei giardini.”  E qui ancor più commuove. L'ostacolo che provava al Battesimo e poi alla vocazione religiosa era la sua umiltà. Diceva alla superiora: “ Tu hai la pelle bianca, sai leggere, scrivere, sei libera, ma io chi sono? Sono una povera negra ignorante. Dio non può volermi come figlia!” (sono proprio queste le persone che Dio ama!) è formidabile.
E giunge alla decisione della vita religiosa, desidera anche lei essere suora ma forse, pensa, è presunzione! Come posso io. E le avrebbero detto di no. Finalmente ne parlò al confessore e la cosa arrivò al card. Sarto che le disse Gesù vi vuole, Gesù vi ama e voi amatelo e servitelo sempre. Parole che non dimenticò mai: esprimevano il suo desiderio. Iniziò il noviziato il 7 dicembre 1893. Nel '96 emise i primi voti. Scrisse allora questa preghiera: “O Signore potessi io volare laggiù tra la mia gente e predicare a tutti a gran voce la tua bontà. Quante anime potrei conquistarti! Fra i primi la mia mamma, il mio papà, i miei fratelli  e la mia sorella ancora schiava...tutti, tutti i poveri negri ddell'Africa, fa o Gesù che anche loro ti conoscano e ti amino. Nel 1902 fu destinata a Schio e qui visse il resto della vita. Qui fece tutti i lavori della casa con grande dolcezza e umiltà e pregava di continuo, con voce sommessa, una specie di ronzio.  La chiamavano “il moscone di Dio”. Una mattina, aprendo la porta che portava al presbiterio vide apparire una figura candida, luminosa. Riconobbe il personaggio misterioso...ma solo più avanti lo rivelò. E una volta sola. In Gesù Cristo aveva una fiducia illimitata, anche nei bombardamenti...sempre tranquilla e serena. A Schio la consideravano la protettrice della città. E intanto in mille servizi umili passa il tempo conservando un volto senza rughe. L'umidità, il clima nebbioso, giungono a minare la sua robusta vita tanto da non poter più camminare. Su una carrozzella si fa portare davanti al tabernacolo e qui rimane ore. “Lui ha patito per me ed io non ho niente da dargli.” “Se durante la mia schiavitù avessi conosciuto il Signore, quanto meno avrei sofferto. A chi ammirava la sua bontà per tutti rispondeva. “Come si farebbe a offendere un Dio così buono quando si sono serviti padroni tanto cattivi?”
Muore nel 1947. Beatificata il 17 maggio 1992.