La preghiera nello Spirito
Il capitolo 8° della lettera ai Romani è il capitolo dello Spirito Santo. È un capitolo tutto pervaso dalla presenza misteriosa e operante di questa realtà divina. Di questo Spirito, divenuto nel Battesimo principio di vita nuova in ognuno di noi, l'Apostolo mette in luce alcune operazioni più importanti e, tra esse, in primissimo piano, la preghiera. Lo Spirito Santo principio di vita nuova è anche principio di preghiera nuova. Tra le opere buone che l'uomo redento può compiere per crescere nella grazia di Dio, la preghiera ha un posto privilegiato. È lo strumento indispensabile per avanzare nelle virtù. La beata Angela da Foligno così scriveva: "Se vuoi incominciare a possedere la luce di Dio, prega; se sei impegnato nella vita della perfezione e vuoi che questa luce in te aumenti, prega; se vuoi la fede, prega; se vuoi la speranza, prega; se vuoi la carità, prega; se vuoi la povertà, prega; se vuoi l'obbedienza, la castità, l'umiltà, la mansuetudine, la fortezza, prega. Qualunque virtù tu desideri, prega... Quanto più sei tentato, tanto più persevera nella preghiera. È in virtù della tua continua preghiera che meriti di essere liberato dalle tentazioni. La preghiera infatti ti dà luce, ti libera dalle tentazioni, ti fa puro, ti unisce a Dio".
Se è esatto dire, come afferma sant'Agostino: "Ama e fa' quel che vuoi." è altrettanto vero ciò che alcuni dicono della preghiera: "Prega e fa' ciò che vuoi". Pregare è raccogliersi in se stessi e inabissare la propria anima nell'infinito di Dio. La preghiera è come il respiro dell'anima: come una buona capacità respiratoria... così è la preghiera per tutto l'uomo.
1) La debolezza della nostra preghiera.
Seconda parte cap. 8: lo Spirito Santo suscitatorio di preghiere dal cuore della creazione e dal cuore dell'uomo. Partiamo dai seguenti versetti Rom. 2,26-27. Ci dicono molto sulla preghiera. Innanzitutto il perché e il come mai della preghiera, ci aiutano a scoprire il fondamento teologico della preghiera. Se, infatti, Gesù ci ha redenti, che bisogno c'è ancora di preghiera? E poi che significato ha questa debolezza alla quale lo Spirito viene in aiuto? In Rom. 8,23 c'è la risposta: "Nella speranza siamo stati salvati". Cioè la piena redenzione deve ancora avvenire. Siamo nel già e non ancora. La preghiera sprigiona proprio questa tensione: tra la fede che possediamo e la salvezza nella quale speriamo. È una preghiera di domanda, del povero... La situazione di debolezza si esprime dal fatto che noi stessi non sappiamo che cosa chiedere, che più ci aiuti, ci salvi! L'inefficacia della preghiera sta nella massima latina: male-mala-mali. Lo Spirito dunque viene in nostro aiuto affinché si rettifichi l'intenzione e il modo di pregare! Male-mala-mali: spiegare.
2) A scuola di preghiera nella Bibbia.
Ma l'imperfezione maggiore della nostra preghiera non è quella che risiede nell'oggetto della preghiera quanto quella che risiede nel soggetto della preghiera: non è quella racchiusa nel sostantivo "mala", quanto quella racchiusa nell'aggettivo "mali".
Vogliamo scoprire come lo Spirito prega in noi. Lo stesso Spirito che prega in noi è quello che ha ispirato la Scrittura Sacra, ha, quindi, ispirato la preghiera che leggiamo nella Bibbia. Oggi lo Spirito prega in noi come ha ispirato la preghiera biblica. Noi dobbiamo, dunque, andare a scuola della preghiera biblica per imparare ad accordarsi con lo Spirito e pregare come prega Lui. Quali sono i sentimenti dell'orante biblico? Cerchiamo di scoprirlo attraverso la preghiera di alcuni grandi amici di Dio, come Abramo, Mosé, Geremia che la Bibbia presenta come i massimi intercessori. La prima cosa che colpisce in questi oranti ispirati è la grande fiducia e l'incredibile ardimento con cui parlano con Dio. Niente di quel servilismo che gli uomini sono soliti associare alla parola stessa "preghiera". Conosciamo bene la preghiera di Abramo che intercede per Sodoma e Gomorra Gen. 18,22. Abramo comincia dicendo: "Davvero sterminerai il giusto con l'empio?". Come dire: non posso credere che tu vorrai fare una cosa del genere! Ad ogni successiva richiesta di perdono, Abramo ripete: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore". La sua supplica è ardita e lui stesso se ne rende conto. Ma è che Abramo e amico di Dio e tra amici si sa fin dove ci si può spingere. Mosé va ancora più lontano nel suo ardimento. L'esempio straordinario l'abbiamo in due testi: Es. 32 e 9 Deut..
Il popolo si è costruito il vitello d'oro. Dopo la denuncia della costruzione Mosé prega Jahvè perché quello è il suo popolo che ha fatto uscire dall'Egitto. E poi anche il ricatto: se tu distruggi tutti diranno che l'hai fatto uscire per distruggerlo... Es. 32,12. Deut. 9,28 perché non in grado di introdurre il popolo nella terra promessa. La Bibbia commenta dicendo che il Signore parlava con Mosé "come un uomo parla con un altro uomo" quasi da uomo a uomo. Ed è lo Spirito che ispirava questa preghiera inaudita.
Geremia arriva ad una protesta esplicita e grida a Dio "Mi hai sedotto! Non penserò più a Lui non parlerò più in suo nome!" Ger. 20,7-9.
Se poi guardiamo ai salmi si direbbe che Dio non fa che mettere sulle labbra dell'uomo le parole più efficaci per lamentarci di Lui. Espressioni ardite come: "Destati! Perché dormi Signore? Dove sono le tue promesse di un tempo?". "Tu ci tratti come pecore da macello". "Non essere sordo Signore, fino a quando starai a guardare?".
Come si spiega tutto questo? E' Dio dunque che ispira l'uomo alla irriverenza giacché è Dio che ispira la preghiera? Il fatto è che l'orante biblico è così unito al Signore, è così Dio per lui, che tutto riposa al sicuro. Nel bel mezzo della preghiera Geremia afferma: "Ma tu Signore, mi conosci, mi vedi; tu provi che il mio amore è con Te". Anche là dove a noi sembra irriverenza c'è, da parte dell'orante, un'adesione profonda alla volontà di Dio... Non è mai intaccata la sottomissione a Dio. E giunge ad accettare anche il dolore perché "noi abbiamo peccato". Dn 3,28 Dt 32,4.
3 La preghiera degli ipocriti.
Abbiamo visto fino qui come prega l'uomo biblico, l'uomo buono; ora vediamo come prega l'uomo che la Bibbia disapprova cioè l'uomo carnale, l'uomo non aperto allo Spirito.
Nel profeta Isaia leggiamo questo lamento di Dio: "questo popolo si avvicina a me solo a parole: mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me" 29,13.
Citando queste parole. Gesù disse un giorno ai farisei: "Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia dicendo..." e riporta il brano suddetto di Isaia. Mt 15,7-8. Gesù qualifica tale preghiera come ipocrita. L'orante ipocrita è colui che può dire: il mio cuore è lontano da te. L'orante ipocrita ha la bocca con Dio ma il cuore è assente. Quando Dio si lamenta dicendo, Is. 29,13, non si tratta della semplice distrazione nella preghiera per cui la mente è assente da ciò che dice, no, si tratta di qualcosa di più grave: il cuore smentisce, contraddice la bocca. Questo avviene quando Dio non è più Dio ma viene strumentalizzato e ridotto a satellite dell'uomo. È la preghiera non dell'amico ma dello schiavo furbo e opportunista che riconosce la propria debolezza e la potenza del suo padrone, ma solo per sfruttarla. La preghiera non è più cordiale, cioè fatta con il cuore, ma venale. Da questo stato d'animo sboccia una preghiera strana e contorta che chiamerei "diplomatica". Nell'esperienza umana è facile accorgersi quando si tratta di un colloquio amichevole e cordiale e quando si tratta di un colloquio diplomatico. Nel primo caso si è liberi... nel secondo caso non si sa nascondere l'impaccio... si sta attenti a quel che si dice, non si è spontanei, si ricercano le parole... e si attende che la preghiera finisca. Ma Dio scruta i cuori. L'ipocrita inganna se stesso, non Dio, perché Dio vuole e cerca la sincerità del cuore. Se non c'è questa sincerità nulla è gradito a Dio. Combattere l'ipocrisia è dare spazio a Dio. Coltivare l'ipocrisia è dare spazio al demonio. Dobbiamo fare la nostra scelta radicale se vogliamo che la nostra preghiera possa essere la continuità della preghiera biblica.
4 La preghiera di Giobbe e quella dei suoi nemici.
L'esempio concreto di quanto affermavamo sui due tipi di preghiera, l'abbiamo nel caso di Giobbe e di alcuni suoi amici. Dio sottopone il suo amico Giobbe a una prova spaventosa. La prima cosa che Giobbe fa al sopraggiungere della prova è di mettere al sicuro la sua amicizia con Dio. Come al sopraggiungere di un uragano ciascuno corre a casa a mettere in salvo... così Giobbe rientra in se stesso e si affretta a mettere al sicuro da sua sottomissione a Dio: Giobbe 1,20-21 leggere. Ora seguiamo l'evolversi della vicenda. Arrivano gli amici di Giobbe e per  sette giorni osservano il silenzio. Poi inizia il dialogo. Giobbe maledice il giorno in cui è nato. Gli amici danno inizio ad una lunga e appassionata difesa di Dio. Da una parte il povero Giobbe che sragiona e implora, sfida, accusa Dio, passa dal grido all'invocazione, dice a Dio parole strazianti. Dall'altra i tre amici che si danno il cambio a sostenere le parti di Dio contro Giobbe.
"Sono innocente? Dice Giobbe, non lo so neppure io". I difensori di Dio sanno tutto; per loro tutto è chiaro: dove c'è sofferenza, c'è stato il peccato. Per questi non c'è più Rivelazione, la venuta di Gesù Cristo sarebbe inutile, tutto è chiaro.
E qual è l'epilogo di questo dramma? Cosa risponde Dio a questo confronto doloroso? Dio entra in scena al capitolo 38. Parla prima a Giobbe della sua grandezza e incomprensibilità e subito Giobbe si ricrede mettendosi la mano sulla bocca 40,4; 42,2. E poi Dio si rivolge a Elifaz il Temanita: "La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici perché non avete detto di me cose corrette come il mio servo Giobbe” 42,7. Perché questo verdetto, questo mistero? Perché Dio guarda il cuore, la sincerità del cuore e Giobbe fu sincero! Giobbe, pur con qualche incertezza, non si è staccato da Dio non ha ritirato la sua sottomissione a Dio, il suo rapporto con Dio è talmente sicuro che tanto Giobbe quanto Dio possono spingersi molto avanti nella prova e nelle parole. La difesa degli amici è a buon mercato, è ipocrita, perché non è passata attraverso il fuoco della sofferenza. È la difesa di chi presume di sé e pensa che, all'occasione, farebbe meglio; di chi crede di sapere tutto di Dio e così l'offende nel profondo. Sono adulatori di Dio non adoratori e ammiratori.
Questa condanna degli amici di Dio ci fa molto pensare. Noi potremmo appartenere alla stessa categoria. È facile cadere nella presunzione di essere i difensori d'ufficio di Dio e della sua giustizia. Questo avviene quando diamo l'impressione alla gente che non c'è alcun mistero per noi nell'agire di Dio e nell'esistenza umana, è tutto chiaro e stabilito. Quando davanti a tanta sofferenza non sappiamo piangere come Gesù - Lazzaro… e ci perdiamo in vane chiacchiere e spiegazioni!
5 La preghiera di Gesù. Dello Spirito.
Se è importante conoscere come lo Spirito ha pregato in Mosé, nei Salmi, in Geremia e in Giobbe, molto più importante è conoscere come ha pregato in Gesù perché è lo Spirito di Gesù che ora prega in noi. In Gesù è portata alla perfezione quell'interiore adesione del cuore e di tutto l'essere a Dio che costituisce il segreto biblico della preghiera. La Parola di Dio, culminata nella vita di Gesù ci insegna dunque che la cosa più importante, nella preghiera, non è quello che si dice, quanto ciò che si è; non è tanto quello che si ha sulle labbra ma ciò che si ha nel cuore!
Lo Spirito in noi non si limita a insegnarci come pregare ma prega in noi; non si limita a dirci che cosa dobbiamo fare, ma lo fa con noi. Lo spirito non dà una legge di preghiera, ma una grazia di pregare.
"Dio ha mandato nel nostro spirito lo Spirito del Suo Dio che grida: Abbà Padre”. Questo è il senso del pregare nello spirito. È lo Spirito che attualizza la preghiera di Gesù fino al punto di dover dire: "non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me!".
È lo Spirito Santo che infonde, dunque, nel cuore il sentimento della figliolanza divina, che ci fa sentire figli di Dio.
E come figli insieme al Signore Gesù recitiamo il "Padre nostro". Una recitazione interiorizzata, lenta, meditata! È facile che la nostra contemplazione si fermi subito alle prime espressioni. Comunque è utile ripetere tante volte le prime espressioni per imprimerle, per farle diventare vita per noi. Gesù prega il Padre... ovunque! Così noi!
6 Dammi ciò che mi comandi.
C'è in noi, come una vena segreta di preghiera. C'è un tesoro nascosto nel campo del nostro cuore. Parlando di questa voce interiore dello spirito, il martire S. Ignazio di Antiochia scriveva: "Sento in me un'acqua viva che mi mormora e dice: vieni al Padre". Cosa non si fa in alcuni paesi afflitti dalla siccità quando, da certi indizi, si scopre che c'è nel terreno sottostante una vena d'acqua; non si smette di scavare finché quella vena d'acqua non è stata raggiunta e portata alla superficie. Anche noi non dovremmo darci tregua nello sforzo di riportare nuovamente a galla nel nostro spirito quella sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna che è in noi per il Battesimo. Dico, riportarla nuovamente alla luce, perché noi gettiamo detriti e terra sopra quella sorgente e la ricopriamo ogniqualvolta che ci riempiamo l'animo di chiasso, di dissipazione e di attivismo vano e frenetico, ogni volta che lasciamo libero corso dentro di noi ai pensieri e ai desideri della carne che sono contrari ai desideri dello spirito.
Ogni qualvolta incontriamo persone che nel desiderio di pregare si volgono in Oriente... dobbiamo dire: dove vai? Dove cerchi? Rientra in te stesso, li troverai la verità! Dio è dentro di te e tu lo cerchi fuori!
Questa vena interiore di preghiera, costituita dalla presenza dello Spirito di Cristo in noi, non vivifica soltanto la preghiera di petizione, ma rende viva e vera ogni altra forma di preghiera: quella di lode, quella spontanea, quella liturgica. Soprattutto quella liturgica. Infatti quando noi preghiamo spontaneamente, con parole nostre è lo Spirito che fa sua la nostra preghiera, ma quando preghiamo con le parole della Rivelazione e della liturgia, siamo noi che facciamo nostra la preghiera dello Spirito ed è cosa più sicura. Anche la preghiera di contemplazione prende un gran valore se fatta nello Spirito e la capacità di pregare nella Spirito è la nostra grande risorsa. Molti cristiani sperimentano la loro impotenza di fronte alle tentazioni e l'impossibilità di adeguarsi alle esigenze altissime della morale evangelica e concludono talvolta che non ce la fanno e che è impossibile vivere integralmente la vita cristiana. In un certo senso hanno ragione. È impossibile infatti, da soli, evitare il peccato: ci occorre la grazia. Ma anche la grazia è gratuita e non la si può meritare. Cosa fare allora? Disperarsi? Arrendersi? "Dio ci dà la grazia e ci comanda di fare ciò che puoi e chiedere ciò che non puoi" (Concilio di Trento).
Quando uno ha fatto tutto quanto sta in lui e non è riuscito, gli resta pur sempre una possibilità: pregare, e se ha già pregato, pregare ancora. Nel N.T. la preghiera si evidenzia nel fare ciò che Dio comanda, cioè nel pregare per riuscire a realizzare quanto Dio ci indica. Es. S. Agostino e la castità: "Dammi ciò che mi comandi".
 
7 La preghiera di intercessione.
La forza della preghiera si esprime soprattutto nell'intercessione. Lo Spirito Santo intercede per noi. Il modo più sicuro per accordarsi con la preghiera dello Spirito è, dunque, quello di intercedere anche noi per i fratelli, per il popolo. Ci si unisce a Cristo che intercede in forma perenne: "Padre... ti prego per loro, per coloro che mi hai dato...". Gesù applica poco spazio per pregare per sé ma prega e intercede per tutti. La preghiera di intercessione non dipende dalle molte parole che diciamo ma dal grado di unione che riusciamo a realizzare con Cristo Gesù. Invocando i santi come aiuto, aumentiamo gli intercessori. La preghiera biblica è ardita quando prega soprattutto per gli altri. Ed è accetta a Dio perché più libera dall'egoismo, perché riflette la gratuità divina. La storia di Giobbe finisce bene perché prega per gli amici. Gli amici vengono così perdonati.
L'elemento costitutivo di tutto sembra essere la preghiera di intercessione. L'intercessione di Mosé per il suo popolo fu determinante per la salvezza di tutto il popolo.
Nella Bibbia troviamo questo bell'elogio dell'intercessore (Geremia) che la liturgia ha applicato a talune figure di pastori e pontefici santi e che riassumo ora tra noi come augurio e programma: "Questi è l'amico dei suoi fratelli, colui che innalza molte preghiere per il popolo e per la città santa". 2 Mac. 15, 14.