Domenica 21 settembre
Mercoledì 24 settembre, in occasione dell’undicesimo anniversario, verrà celebrata la S. Messa di suffragio per don Comelli alle ore 21.15 in S. Maria del Popolo,
La beatitudine in noi quando è vera diviene testimonianza cristiana autentica, storicamente visibile. Ma tutto ciò non può avvenire senza una decisione senza ritorni, un definitivo rinnegare se stessi. Non dobbiamo più perderci in felicità terrene, inquinarci in ideali non cristiani, ma tendere con tutto noi stessi al fine! E senza rimpianti. Nella fede se prendiamo Dio sul serio la beatitudine sarà vera e definitiva. Siamo stati creati per la beatitudine.
(Beatitudine come vocazione – XII)
Newsletter 23/2014
Domenica 14 settembre
Nel conoscere veramente il Signore sta la nostra beatitudine: perché lo si conosce ascoltandolo, sperimentandolo, incontrandolo e allora si sviluppa in noi la beatitudine del completamento. E’ un conoscere vivo, che incide nella nostra vita perché è diventato avvenimento. Quando rimane conoscenza apparente, nominalismo, intellettualismo, non c’è beatitudine. Quando c’è avvenimento c’è sempre beatitudine, e la vita diviene la risposta ad una chiamata.
Nell’amare veramente il Signore sta la beatitudine. Che significa voler amare perché si è scoperto che è l’amore. Perché si è scoperto che è il tutto.
(Beatitudine come vocazione – XI)
Newsletter 22/2014
Domenica 7 settembre
E’ importante vivere, essere nel Signore per raggiungere la beatitudine. Chi vive nel Signore è beato, chi muore nel Signore è beato, chi soffre nel Signore è beato, chi è povero nel Signore è beato. Emerge così in maniera definitiva e piena che la beatitudine dell’uomo è Dio perché Dio solo è beatitudine. La vocazione dell’uomo alla beatitudine non ha altra motivazione e altro contenuto che il Signore. La fedeltà è la strada!
(Beatitudine come vocazione – X)
Newsletter 21/2014
Domenica 8 giugno
Il valore della beatitudine come vocazione dell’uomo emerge in pienezza nel Nuovo Testamento soprattutto nell’insegnamento di Gesù, che la mette in relazione al Regno dei cieli.
Dice infatti: ”Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli…Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”. La prima e l’ultima beatitudine in Matteo vengono presentate con il presente: “è”. Nelle altre: il futuro, saranno… La motivazione fondamentale, ciò che dà origine alla beatitudine è il Regno: il possesso, la speranza, l’esperienza del Regno dei cieli, non più della terra. Le beatitudini del Signore non sono solo del futuro ma dell’oggi. Il regno di Dio inizia e si sviluppa lì dove ciascuno di noi realizza la propria vocazione cristiana. Se siamo, oggi, fedeli al suo progetto, oggi noi siamo beati! E qui inizia il suo Regno, che continuerà per sempre.
(Beatitudine come vocazione – IX)
Newsletter 20/2014
Domenica 1 giugno
Noi sappiamo che ci sono anche le felicità provvisorie, ma non dobbiamo perdere il tempo con queste. Se fossimo folgorati dalla beatitudine, come bruceremmo ogni felicità provvisoria! S. Francesco: “Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto”. E’ nella logica della fede tutto ciò. Ma quando questo tipo di felicità è cercata, è vissuta, allora diviene pure avvenimento visibile, testimonianza.
Dio vuole vederci beati. Dio attende che noi esprimiamo la nostra felicità! Dio ci ha dato tutto per la nostra felicità. Egli dunque potrebbe dire: “Non ti basto?” E forse dovremmo rispondere: “E’ vero, non ci basti”. Per nostra dabbenaggine e meschinità.
(Beatitudine come vocazione – VIII)
Newsletter 19/2014
Domenica 25 maggio
La beatitudine è un itinerario, è un cammino nella fedeltà, un cammino nel quale vi sono delle costanti inderogabili: camminare nel progetto di Dio, verso Dio, cercare Dio, credere in Dio, incontrare Dio e realizzare un rapporto con lui. Se non si passa di lì, il discorso della beatitudine rimane provvisorio e incompleto.
Che fare da parte nostra? Prendere terribilmente sul serio la questione dell’essere beati. Non dobbiamo lasciarci ingannare da nessun surrogato. La felicità che sta nel Suo progetto, non la possiamo danneggiare con nessun compromesso…e deve essere una scelta così perentoria da tagliare i ponti con tutte le felicità fasulle e le felicità solo terrene proprio per realizzare profeticamente il più possibile la felicità definitiva.
(Beatitudine come vocazione – VII)
Newsletter 18/2014
Domenica 18 maggio
Il cristiano sa che deve rispondere ad una vocazione che Dio gli ha dato. La deve cercare, la deve vivere perché è in questo la felicità. E tutto ciò è il diritto – dovere alla beatitudine. Siamo chiamati alla beatitudine. E questa chiamata mi viene rivolta dall’Amico che mi può rendere beato perché è Lui solo il fine del cuore dell’uomo. In che modo si può realizzare? Con la fedeltà al suo progetto. Ma c’è da ricordare che la fedeltà è un impegno, la fedeltà è una conquista, la fedeltà è veramente una responsabilità.
(Beatitudine come vocazione – VI)
Newsletter 17/2014
Domenica 11 maggio
La beatitudine non è edonismo.
Non dobbiamo confondere la beatitudine. Nel mondo pagano, greco e orientale, si parlava di beatitudine. Beati erano gli dei, che identificavano la beatitudine con la soddisfazione di tutte le potenze di piacere dell’uomo. I beati dell’Olimpo sono una schiera di profittatori. Cercano la beatitudine ripetendo e ingrandendo le birbonate degli uomini.
Le cose stanno così proprio perché si crea Dio a propria immagine e somiglianza . E’ l’uomo che crea Dio e non viceversa. E’ l’uomo che costruisce le divinità con infiniti difetti. Ma ciò che poteva essere comprensibile nell’antichità, non lo è più oggi. Eppure è ancora vivo questo tipo di beatitudine. Il fatto stesso che siamo creature di carne ci rende inclini a cercare istintivamente la beatitudine nelle cose che si vedono e che si toccano piuttosto che nello spirito, nelle cose del mondo piuttosto che in Dio. E così il termine “piacere” viene assunto come sinonimo di beatitudine. Questo è l’edonismo. Oggi è diventato filosofia, è diventato un sistema di vita, che si traduce in parole banali ma molto espressive: godersi la vita. Stiamo vivendo un tipo di civiltà, un tipo di cultura, nel quale godersi la vita è diventato un ideale. Ed è una alterazione, una profanazione del concetto di beatitudine, come bisogno di infinito, così legato alla più intima esperienza dell’uomo e così legato alla rivelazione. Se da una parte l’uomo oggi è dominato dal pessimismo, dalla disperazione, dalla depressione dal non sapere perché vivere, ecco che a quest’uomo viene offerta una beatitudine terribilmente riduttiva che è quella di godersi l’esistenza. L’uomo d’oggi è tradito nel suo essere profondo; è decisamente ingannato. E’ appiattito, rovinato.
(Beatitudine come vocazione – V)
Newsletter 16/2014
Domenica 4 maggio
Nell’Antico Testamento, specialmente nei libri Sapienziali, troviamo un’altra prospettiva della felicità dell’uomo: è detto beato il giusto, il prudente, il sapiente e il santo.
La Beatitudine appare legata ai valori morali: alla perfezione, alla dirittura, al dominio di sé. Ma se notiamo bene, anche i valori morali sono beatitudine se in rapporto con Dio.
Questo rapporto beatificante con Dio è tale sia all’interno dell’uomo per la modificazione spirituale che produce, per il processo interiore di santificazione, sia all’esterno dell’uomo per il nuovo rapporto che instaura con l’uso delle cose, con la realtà creata.
(Beatitudine come vocazione – IV)
Newsletter 15/2014
Domenica 27 aprile
Il tema della beatitudine ricorre molto nella Bibbia. Nell’Antico Testamento, specialmente in certi periodi, Dio promette all’uomo soprattutto la beatitudine terrena. In questa prospettiva l’uomo felice è l’uomo che ha molti figli, l’uomo che ha molti campi, che ha molti armenti, prospero nella vita terrena. Però non sta in questo la beatitudine. E’ solo un simbolo di qualcosa di più grande e cioè: Dio promette la beatitudine all’uomo che rimane fedele alla sua legge e alla sua volontà. Coloro che saranno fedeli saranno beati anche in terra. Del resto nel Nuovo Testamento si ritorna su questa prospettiva: Gesù dice che chi avrà lasciato tutto per Lui avrà il centuplo in questa vita e la vita eterna.
Il popolo eletto fa sempre l’esperienza che quando è fedele è felice, quando è infedele è tribolato. Dio indica dunque la strada della beatitudine e la indica nel modulo: fedeltà – prosperità. Tutto ciò è molto importante per la vostra meditazione. Infatti ci fa capire che la beatitudine non consiste semplicemente nel possesso di questo o di quel bene, non consiste nel possedere o nel fare, ma consiste piuttosto nel realizzare un rapporto con Dio. La felicità, quindi, nella storia del popolo eletto, è un’esperienza di relazione, un rapporto interpersonale, un’adesione ad un progetto, l’accettazione di un’alleanza con tutte le conseguenze.
L’uomo allora non è felice se non è aperto all’incontro con qualcuno che è la sorgente della sua felicità. Dobbiamo affermare che la felicità non ha le radici dentro l’uomo, le ha fuori dall’uomo. La sua identità personale è fuori dall’uomo, perché un altro ha creato l’uomo che non si è fatto da solo. L’istanza della felicità è nell’uomo ma il senso e la realizzazione è Dio. L’uomo, purtroppo, tante volte digerisce male che la sua felicità debba essere un Altro – Dio!
(Beatitudine come vocazione – III)