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May, 2014

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Newsletter 19/2014

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Domenica 25 maggio

La beatitudine è un itinerario, è un cammino nella fedeltà, un cammino nel quale vi sono delle costanti inderogabili: camminare nel progetto di Dio, verso Dio, cercare Dio, credere in Dio, incontrare Dio e realizzare un rapporto con lui. Se non si passa di lì, il discorso della beatitudine rimane provvisorio e incompleto.
Che fare da parte nostra? Prendere terribilmente sul serio la questione dell’essere beati. Non dobbiamo lasciarci ingannare da nessun surrogato. La felicità che sta nel Suo progetto, non la possiamo danneggiare con nessun compromesso…e deve essere una scelta così perentoria da tagliare i ponti con tutte le felicità fasulle e le felicità solo terrene proprio per realizzare profeticamente il più possibile la felicità definitiva.
(Beatitudine come vocazione – VII)

Newsletter 18/2014

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Domenica 18 maggio

Il cristiano sa che deve rispondere ad una vocazione che Dio gli ha dato. La deve cercare, la deve vivere perché è in questo la felicità. E tutto ciò è il diritto – dovere alla beatitudine. Siamo chiamati alla beatitudine. E questa chiamata mi viene rivolta dall’Amico che mi può rendere beato perché è Lui solo il fine del cuore dell’uomo. In che modo si può realizzare? Con la fedeltà al suo progetto. Ma c’è da ricordare che la fedeltà è un impegno, la fedeltà è una conquista, la fedeltà è veramente una responsabilità.
(Beatitudine come vocazione – VI)

Newsletter 17/2014

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Domenica 11 maggio
La beatitudine non è edonismo.
Non dobbiamo confondere la beatitudine. Nel mondo pagano, greco e orientale, si parlava di beatitudine. Beati erano gli dei, che identificavano la beatitudine con la soddisfazione di tutte le potenze di piacere dell’uomo. I beati dell’Olimpo sono una schiera di profittatori. Cercano la beatitudine ripetendo e ingrandendo le birbonate degli uomini.
Le cose stanno così proprio perché si crea Dio a propria immagine e somiglianza . E’ l’uomo che crea Dio e non viceversa. E’ l’uomo che costruisce le divinità con infiniti difetti. Ma ciò che poteva essere comprensibile nell’antichità, non lo è più oggi. Eppure è ancora vivo questo tipo di beatitudine. Il fatto stesso che siamo creature di carne ci rende inclini a cercare istintivamente la beatitudine nelle cose che si vedono e che si toccano piuttosto che nello spirito, nelle cose del mondo piuttosto che in Dio. E così il termine “piacere” viene assunto come sinonimo di beatitudine. Questo è l’edonismo. Oggi è diventato filosofia, è diventato un sistema di vita, che si traduce in parole banali ma molto espressive: godersi la vita. Stiamo vivendo un tipo di civiltà, un tipo di cultura, nel quale godersi la vita è diventato un ideale. Ed è una alterazione, una profanazione del concetto di beatitudine, come bisogno di infinito, così legato alla più intima esperienza dell’uomo e così legato alla rivelazione. Se da una parte l’uomo oggi è dominato dal pessimismo, dalla disperazione, dalla depressione dal non sapere perché vivere, ecco che a quest’uomo viene offerta una beatitudine terribilmente riduttiva che è quella di godersi l’esistenza. L’uomo d’oggi è tradito nel suo essere profondo; è decisamente ingannato. E’ appiattito, rovinato.
(Beatitudine come vocazione – V)

Newsletter 16/2014

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Domenica 4 maggio
Nell’Antico Testamento, specialmente nei libri Sapienziali, troviamo un’altra prospettiva della felicità dell’uomo: è detto beato il giusto, il prudente, il sapiente e il santo.
La Beatitudine appare legata ai valori morali: alla perfezione, alla dirittura, al dominio di sé. Ma se notiamo bene, anche i valori morali sono beatitudine se in rapporto con Dio.
Questo rapporto beatificante con Dio è tale sia all’interno dell’uomo per la modificazione spirituale che produce, per il processo interiore di santificazione, sia all’esterno dell’uomo per il nuovo rapporto che instaura con l’uso delle cose, con  la realtà creata.
(Beatitudine come vocazione – IV)