Domenica 27 aprile
Il tema della beatitudine ricorre molto nella Bibbia. Nell’Antico Testamento, specialmente in certi periodi, Dio promette all’uomo soprattutto la beatitudine terrena. In questa prospettiva l’uomo felice è l’uomo che ha molti  figli, l’uomo che ha molti campi, che ha molti armenti, prospero nella vita terrena. Però non sta in questo la beatitudine. E’ solo un simbolo di qualcosa di più grande e cioè: Dio promette la beatitudine all’uomo che rimane fedele alla sua legge e alla sua volontà. Coloro che saranno fedeli saranno beati anche in terra. Del resto nel Nuovo Testamento si ritorna su questa prospettiva: Gesù dice che chi avrà lasciato tutto per Lui avrà il centuplo in questa vita e la vita eterna.
Il popolo eletto fa sempre l’esperienza che quando è fedele è felice, quando è infedele è tribolato. Dio indica dunque la strada della beatitudine e la indica nel modulo: fedeltà – prosperità. Tutto ciò è molto importante per la vostra meditazione. Infatti ci fa capire che la beatitudine non consiste semplicemente nel possesso di questo o di quel bene, non consiste  nel possedere o nel fare, ma consiste piuttosto nel realizzare un rapporto con Dio. La felicità, quindi, nella storia del popolo eletto, è un’esperienza di relazione, un rapporto interpersonale, un’adesione ad un progetto, l’accettazione di un’alleanza con tutte le conseguenze.
L’uomo allora non è felice se non è aperto all’incontro con qualcuno che è la sorgente della sua felicità. Dobbiamo affermare che la felicità non ha le radici dentro l’uomo, le ha fuori dall’uomo. La sua identità  personale è fuori dall’uomo, perché un altro ha creato l’uomo che non si è fatto da solo. L’istanza della felicità è nell’uomo ma il senso e la realizzazione è Dio. L’uomo, purtroppo, tante volte digerisce male che la sua felicità debba essere un Altro – Dio!
(Beatitudine come vocazione – III)